Napoli, la città dei mille «luoghi ambigui» dei vicoli
CULTURA
24 novembre 2025

Napoli, la città dei mille «luoghi ambigui» dei vicoli

Domenico Tirendi

Napoli è una città che non si lascia mai interamente possedere. È un continuo ossimoro urbano, quel luogo dove la luce e l’ombra camminano affiancate come due vecchie comari che si azzuffanorestando, però, sempre l’una accanto all’altra. Non esiste città più ambigua, e lo si capisce entrando nel primo dei suoi paradossi: il Cimitero delle Fontanelle. Qui la morte non è silenzio, ma relazione; le anime “pezzentelle” adottate, curate, persino coccolate raccontano una devianza felice dal canone cattolico ufficiale. Si esce da lì con il dubbio: è religione o antropologia? È mistero o affetto popolare? Non meno ambigui i Quartieri Spagnoli, dove la street art si alterna ai panni stesi e al brulichio di motorini che sfiorano gli altari votivi. Il murale di Maradona osserva tutto dall’alto: sacro, profano, dove folklore e marketing convivono negli stessi metri quadrati. È una Napoli che si reinventa senza mai negare il proprio disordine. Basta spostarsi sul «Decumano del cibo», Via dei Tribunali, per entrare in un’altra dimensione: un flusso continuo di turisti, pizzaioli che sembrano sacerdoti laici e palazzi che cadono a pezzi come se ricordassero a tutti che la bellezza, qui, è sempre a rischio. È la trappola del successo: più la città si mostra, più la sua autenticità arretra di un passo, come una popstar stanca ma mai démodé. Poi c’è la «Sanità», quartiere in cui la vita quotidiana convive con la meraviglia delle catacombe e con le architetture barocche che esplodono all’improvviso dietro un vicolo. Luogo problematico, ma anche laboratorio di rinascita culturale: un pendolo che oscilla continuamente tra fragilità e splendore.

La stessa oscillazione che attraversa la Galleria Principe di Napoli, forse il monumento più fotogenico e allo stesso tempo più trascurato. Un gigante elegante che sembra sempre sul punto di risvegliarsi, ma resta a metà tra la gloria passata e un futuro che non arriva mai. È il “monumento dell’attesa”. Basta camminare sotto i portici prospicienti, peraltro, al Museo Archeologico Nazionale per trovarsi di fronte ad uno spettacolo da terzo mondo: il pavimento è ormai diventato un “deposito” per coperte e cartoni. Una sistemazione per clochard,utilizzata ogni giorno dai senzatetto che, nonostante i ripetuti sgomberi, continuano ad accamparsi. A Piazza Garibaldi, invece, l’ambiguità è pura energia. Crocevia di arrivi, partenze e identità mobili, è il primo pugno e il primo abbraccio che la città offre. Qui tutto scorre veloce, ma nulla si chiarisce del tutto. Un non luogo per eccellenza, dove l’identità transita così velocemente da non lasciare mai traccia di sé. Infine, il «Borgo Orefici», dove la tradizione dell’oro convive con la sua contraffazione. Un quartiere che brilla davvero, ma non sempre per le ragioni che ci si aspetta. E forse proprio per questo racconta meglio di tutti la doppia faccia della città: quella laboriosa e creativa e quella che sopravvive di espedienti. Napoli resta, pertanto, anche questa: un mosaico di luoghi ambigui, splendidi e imperfetti. Una città che non si spiega, ma si vive: una contraddizione continua che, proprio per questo, continua a sedurre residenti e turisti che oltre ai monumenti e ai panorami mozzafiato la scelgono per la sua anima vibrante costituita da storia millenaria, cultura, tradizione, musica e per la sua spontanea e vivace vita quotidiana.