Sanità del futuro: il pubblico arretra, il privato avanza. Sei milioni di persone non si curano più
BENESSERE
27 novembre 2025

Sanità del futuro: il pubblico arretra, il privato avanza. Sei milioni di persone non si curano più

Sos Gimbe, che denuncia l'0aumento di costi che pesa per i cittadini e l'aumento costante delle differenze regionali
metropolisweb

Il Servizio sanitario nazionale sta cambiando forma: il pubblico arretra, il privato avanza. La Fondazione Gimbe racconta una trasformazione che procede senza clamore, ma con effetti sempre più evidenti sul terreno delle diseguaglianze, dell’accessibilità e della sostenibilità.
«Quella che stiamo vivendo – osserva il presidente Nino Cartabellotta – è una privatizzazione di fatto del Servizio Sanitario Nazionale. Non raccontata, non programmata e proporzionale all’indebolimento del sistema pubblico».
Il fenomeno si muove lungo due direttrici consolidate: la privatizzazione della spesa, cioè l’aumento dei costi diretti per i cittadini, e la privatizzazione della produzione, ovvero l’espansione delle strutture private che erogano prestazioni sanitarie.

 

Differenze tra privati
Nel dibattito pubblico, il privato sanitario viene identificato con le strutture accreditate che erogano prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale. In realtà, Gimbe distingue 4 grandi categorie di soggetti privati: gli erogatori, gli investitori, i terzi paganti e le realtà coinvolte in partenariati pubblico-privato. Un mosaico articolato, in cui convivono entità profit e non profit, gruppi finanziari, assicurazioni, fondi sanitari, imprese e società di servizi.
Questa complessità si traduce in dinamiche spesso poco trasparenti e in una pluralità di attori che, pur diversi, sono accomunati da un crescente peso nel sistema sanitario. In particolare, preoccupa la forza di espansione del privato “puro”, cioè non accreditato, che opera completamente fuori dal perimetro di rimborso pubblico. Dove il pagamento è diretto o assicurativo.

 

La privatizzazione
Il processo di sostituzione è evidente nei dati del Ministero della Salute. Nel 2023 il 58% delle 29.386 strutture sanitarie italiane era rappresentato da privati accreditati. E in molti settori il pubblico è ormai minoranza: nell’assistenza residenziale il privato raggiunge l’85,1%; nella riabilitazione il 78,4%; nella semiresidenziale il 72,8%. Dal 2011 al 2023 le strutture pubbliche hanno subito una contrazione doppia rispetto a quelle private accreditate: –14,1% contro –7,6% per gli ospedali, –5,6% contro –2,5% per la specialistica ambulatoriale. Nelle altre aree assistenziali il divario è ancora più marcato. Nella residenzialità il pubblico arretra del 19,1% mentre il privato cresce del 41,3%; nella semiresidenzialità –11,7% contro +35,8%; nella riabilitazione +5,3% contro +26,4%. «In interi settori – osserva Cartabellotta – il privato accreditato è diventato ormai la spina dorsale dell’offerta». Un ruolo importante, ma oggi sempre più fragile, a causa del definanziamento del SSN e della stagnazione delle tariffe di rimborso. Tra il 2012 e il 2024 la spesa pubblica verso il privato convenzionato è cresciuta di 5,3 miliardi, ma la sua incidenza sulla spesa sanitaria totale è scesa fino al minimo storico del 20,8% nel 2024.

 

Famiglie sotto pressione
Parallelamente, la spesa sanitaria a carico diretto dei cittadini ha raggiunto nel 2024 i 41,3 miliardi di euro, pari al 22,3% della spesa complessiva. Da dodici anni l’Italia supera stabilmente il limite del 15% raccomandato dall’OMS.
È un macigno che pesa soprattutto sulle fasce economicamente più fragili e sulle regioni con minore capacità di risposta pubblica.
Ma il dato più drammatico riguarda le rinunce: 5,8 milioni di italiani nel 2024 hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per motivi economici, contro i 4,1 milioni del 2022. Una dinamica aggravata dal fatto che la spesa privata non può continuare a crescere indefinitamente: nel 2024 5,7 milioni di persone vivevano sotto la soglia di povertà assoluta e 8,7 milioni sotto quella relativa.
La fotografia delle destinazioni della spesa privata è eloquente: 12,1 miliardi vanno alle farmacie, 10,6 miliardi ai professionisti sanitari (quasi la metà agli odontoiatri), 7,6 miliardi alle strutture accreditate, 7,2 al privato puro. E proprio quest’ultimo è il comparto che cresce più velocemente: +137% tra il 2016 e il 2023, con un aumento medio di circa 600 milioni l’anno.

Sanità integrativa
Con quasi 12 milioni di iscritti, la sanità integrativa avrebbe dovuto rappresentare il pilastro accessorio di un sistema pubblico forte. Ma oggi si trova schiacciata da una domanda crescente di prestazioni che il pubblico non è più in grado di garantire. «Se chiamata a sostituire il SSN – avverte Gimbe – rischia di affondare con esso».
A ciò si aggiunge l’effetto distorsivo delle defiscalizzazioni, che di fatto dirottano risorse pubbliche verso soggetti privati senza una reale valutazione dell’impatto.

 

Il ruolo degli investitori
Il settore sanitario è sempre più attrattivo per fondi di investimento, assicurazioni, gruppi bancari. L’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle cronicità e il ricorso crescente alla diagnostica lo rendono un mercato ad alta redditività. L’ingresso di capitali privati non è negativo di per sé, ma senza governance pubblica rischia di spostare l’equilibrio verso logiche esclusivamente profit-oriented. Il rischio maggiore si concentra nel cosiddetto “secondo binario”: strutture private non accreditate, accessibili solo a chi può pagare, che si sviluppano parallelamente al SSN senza alcun legame.

 

Regioni e tetti di spesa
Le differenze regionali restano profonde. Nel 2023 la quota di spesa pubblica destinata al privato convenzionato supera la media nazionale in sei Regioni, con valori che oscillano dal 22% della Puglia al 29,3% del Lazio. Le Regioni in Piano di rientro, vincolate a rigidi obiettivi di bilancio, raggiungono in media il 23,9%, molto più delle Regioni non in Piano e delle Autonomie speciali. Le manovre di bilancio 2024-2026 hanno aumentato il tetto per la spesa verso il privato convenzionato fino a 736 milioni di euro annui dal 2026. Una scelta che rischia di consolidare la dipendenza dal privato senza risolvere i problemi strutturali del pubblico.

 

Diseguaglianze
Le conseguenze sociali sono già visibili: crescono le rinunce alle cure, aumentano le liste d’attesa, e chi può permetterselo cerca risposte nel privato puro o nell’intramoenia. Gli altri attendono o rinunciano. La fondazione è netta: «Parlare di integrazione pubblico-privato è anacronistico e ingiusto verso i principi del SSN». Per Gimbe il percorso è un rilancio del finanziamento pubblico; LEA sostenibili e realmente garantiti; un secondo pilastro integrativo e non sostitutivo; regole chiare e pubbliche per governare il rapporto con il privato. «Perché – dice Cartabellotta – siamo tutti uguali solo sulla carta. Nella realtà quotidiana, la salute sta diventando un privilegio».