Oltre 2,5 milioni di utenti in pochi mesi, ha attirato l'attenzione del fondo AI Futures di Google
#IA, TECNOMANIA
9 dicembre 2025

Emergent, la piattaforma che traduce i sogni in applicazioni reali

Gennaro Annunziata

Negli ultimi tempi l’intelligenza artificiale ha iniziato a percorrere una traiettoria diversa da quella puramente generativa a cui ci eravamo abituati. Dai modelli che creano testi e immagini si sta passando a sistemi capaci di agire, pianificare, prendere decisioni e costruire prodotti digitali complessi. È la stagione dell’IA agentica, un’evoluzione in cui l’IA non si limita a rispondere, ma opera come un vero assistente autonomo in grado di eseguire compiti articolati.

In questo scenario emergente, ha preso forma un nuovo paradigma chiamato Vibe-Coding, un approccio che punta ad abbattere in modo definitivo le barriere della programmazione tradizionale. Il concetto è semplice nella teoria e rivoluzionario nella pratica: descrivere l’obiettivo, il “vibe” dell’applicazione desiderata, lasciando che l’IA si occupi di tutto il lavoro tecnico.

Per capire perché il Vibe-Coding stia attirando tanta attenzione occorre partire da un dato: milioni di persone in tutto il mondo avrebbero bisogno di strumenti digitali personalizzati per far crescere le proprie attività, ma pochissimi possiedono le competenze per svilupparli. L’IA agentica interviene proprio qui. Gli agenti autonomi funzionano come piccoli collaboratori digitali capaci di suddividere un compito complesso in sotto-obiettivi e portarli a termine senza intervento umano. Il Vibe-Coding utilizza questo principio per permettere a chiunque di generare software full-stack pronto per la produzione partendo da una semplice idea. Dove la programmazione richiede linguaggi, documentazione e debug, il Vibe-Coding chiede soltanto di spiegare cosa si vuole ottenere. Il resto lo fanno gli agenti.

Al centro di questa trasformazione c’è Emergent (https://emergent.sh/), la prima piattaforma al mondo interamente costruita attorno al Vibe-Coding. Fondata nel 2025 e cresciuta in maniera rapidissima, Emergent ha già raggiunto oltre 2,5 milioni di utenti a livello globale e superato un run rate di ARR da 25 milioni di dollari in meno di cinque mesi. La missione dichiarata dell’azienda è democratizzare la creazione di software, permettendo a chiunque di passare dal concetto alla realtà senza conoscere una sola riga di codice.

Nel racconto del co-founder e CEO Mukund Jha (l’altro founder è il fratello Madhav), l’obiettivo è molto concreto: aiutare i piccoli imprenditori, i creator e gli inventori che ogni giorno immaginano strumenti utili ma non hanno i mezzi tecnici per realizzarli. “Non tutti hanno le competenze tecnologiche o le risorse per trasformare il proprio sogno in realtà”, afferma Jha, sottolineando come Emergent stia “dando gli strumenti per dare vita alla propria visione, indipendentemente dalla complessità”.

Il potenziale di Emergent ha attirato investitori di primo piano, tra cui Google, che ha annunciato un investimento strategico attraverso il fondo AI Futures, lanciato nel maggio 2025 per sostenere le startup impegnate nello sviluppo delle tecnologie IA di nuova generazione. L’accordo offre a Emergent non soltanto capitali, ma anche accesso anticipato ai modelli IA più avanzati di Google e il supporto diretto dei suoi esperti. Secondo Jonathan Silber, co-fondatore e direttore del fondo AI Futures, il lavoro di Emergent rappresenta “un modo per abbattere le barriere e democratizzare l’accesso agli strumenti di cui le aziende hanno bisogno per costruire il proprio stack tecnologico”. Google guarda con particolare interesse all’integrazione tra Emergent e Gemini 3, il modello di punta, convinta che possa amplificare ulteriormente le capacità agentiche della piattaforma.

L’impatto della piattaforma può essere compreso osservando ciò che gli utenti hanno già realizzato. Nel Regno Unito un professionista ha creato Continuous CV, un’applicazione che permette di registrare i propri successi lavorativi e convertirli automaticamente in una versione ordinata e pronta per essere inserita nel curriculum. In Germania, una piccola imprenditrice ha sviluppato Zolora, uno strumento di audit di marketing che guida altri imprenditori attraverso l’analisi dei punti di forza e delle lacune nella loro strategia, un servizio che normalmente richiederebbe un consulente. Sempre in Germania un altro utente sta lavorando a una directory completa dei casi d’uso dell’IA, utile per chiunque voglia capire come applicare la tecnologia nel proprio settore. Questi esempi mostrano come il Vibe-Coding stia sovvertendo il tradizionale rapporto tra chi crea software e chi lo utilizza. Ogni foglio Excel, ogni processo manuale, ogni frase “ci vorrebbe un’app per questo” può trasformarsi in un’app vera, funzionante e pronta per il mercato.

Nell’ecosistema digitale attuale, la capacità di sperimentare rapidamente nuove idee è spesso ciò che distingue chi cresce da chi resta indietro. Per molti, però, la dipendenza da sviluppatori, budget elevati o competenze specialistiche ha sempre rappresentato un muro invalicabile. Emergent propone un cambio di paradigma: mette lo sviluppo nelle mani degli utenti stessi, permettendo a un lavoratore autonomo, a un piccolo imprenditore o a un creatore digitale di costruire autonomamente strumenti che rispecchiano esattamente le proprie esigenze. Il Vibe-Coding diventa così non soltanto una tecnologia, ma un linguaggio universale che consente a milioni di persone di partecipare effettivamente all’economia digitale.

L’ingresso di Google nel percorso di crescita di Emergent non è solo un investimento economico, ma un segnale della direzione in cui si sta muovendo l’intero settore dell’intelligenza artificiale. Se il Vibe-Coding dovesse affermarsi su larga scala, assisteremmo a un ribaltamento strutturale: il software non sarebbe più un prodotto riservato a specialisti, ma una competenza diffusa quanto lo è oggi scrivere un documento o montare un video sullo smartphone. Emergent, dal canto suo, punta ad ampliare rapidamente la piattaforma nel mondo, assumere nuovi talenti e supportare “decine di milioni di imprenditori e creativi” già all’inizio del prossimo anno. Il futuro del software potrebbe nascere non nei reparti di ingegneria, ma nelle idee di chiunque abbia un problema da risolvere o un sogno da realizzare.

Questo nuovo paradigma, va detto, apre però anche degli interrogativi non secondari: come garantire la comprensibilità e la verificabilità del codice generato quando nasce da “vibes” più che da istruzioni formali? Chi si assume la responsabilità di bug o vulnerabilità, il creatore dell’idea, l’IA che la interpreta o la piattaforma che fornisce il risultato? E, ancora, cosa accade alle competenze tecniche se il layer intenzionale sostituisce completamente la scrittura del codice? Senza considerare i rischi di sicurezza legati a prompt injection e manipolazioni del contesto. Sono domande aperte che accompagneranno l’evoluzione del Vibe-Coding.

Gennaro Annunziata