Addio a Carmine Lo Sapio, uomo che ha saputo osare il futuro
Sognava la Pompei del futuro. Non come un’astrazione retorica, ma come un progetto concreto, da costruire giorno dopo giorno, scelta dopo scelta. E pezzo dopo pezzo ha provato a realizzarla, anche con il coraggio delle decisioni impopolari. Parte di quel disegno oggi è sotto gli occhi di tutti; un’altra parte è affidata al tempo, alla responsabilità di chi verrà dopo. Carmine Lo Sapio è stato un sindaco pragmatico e insieme visionario, una combinazione rara. Ha strappato Pompei al torpore e al provincialismo degli anni più bui, le ha restituito una caratura internazionale, l’ha rimessa al centro come locomotiva economica dell’intera provincia a sud di Napoli. Lo ha fatto ricucendo ciò che per troppo tempo era rimasto diviso. Le tre anime della città – quella moderna, quella antica e quella religiosa – non erano mai riuscite davvero a parlarsi. Tenerle insieme non era scontato, né facile. È stato un capolavoro politico e diplomatico che ai suoi predecessori non era riuscito. Lo Sapio aveva compreso che Pompei non poteva più permettersi di vivere in compartimenti stagni: la città dei residenti da una parte, la città degli scavi dall’altra, la città del Santuario come universo separato. Ha lavorato con ostinazione, talvolta con durezza, per costruire ponti, relazioni, alleanze. E quei ponti oggi esistono.
Sotto la sua guida, la città ha smesso di essere “soltanto” una destinazione, per quanto straordinaria. Non più solo una delle mete archeologiche più famose al mondo o uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio cristiano. Pompei è tornata a essere una città. Una città viva, che produce cultura, economia, pensiero, visione. Una città che prova a governare il proprio destino, invece di subirlo. Il rapporto con il Parco archeologico e con la Basilica è stato uno dei cardini della sua azione amministrativa. Non una convivenza di facciata, ma una collaborazione vera, talvolta complessa, sempre fondata sul rispetto delle autonomie e sulla condivisione di obiettivi comuni. Vedeva Pompei come un unicum irripetibile: storia e fede, vita quotidiana e turismo, lavoro e identità. Tutto doveva dialogare, tutto doveva concorrere a un progetto più grande della somma delle singole parti.
Condividevamo due cose, e spesso ne parlavamo seduti alla scrivania della sua stanza al primo piano di Palazzo De Fusco: una certa nostalgia per gli ideali socialisti e, soprattutto, il fascino di una visione territoriale ampia, coraggiosa, capace di tenere insieme il nostro pezzo di Campania. Il Miglio d’Oro, la Penisola Sorrentina, la cinta vesuviana, la fascia di costa. Un sistema integrato, non una somma di campanili. Al centro di questo spazio, che può e deve proporsi come locomotiva di sviluppo economico regionale, non può che esserci Pompei. Non per cieco orgoglio identitario, ma per una lucida valutazione politica, amministrativa ed economica: la forza dirompente del brand Pompei, se governata, può generare benefici diffusi. In questa prospettiva, Lo Sapio considerava l’adesione trasversale alla candidatura di Pompei a Capitale della Cultura come un seme prezioso, da proteggere e coltivare con pazienza e determinazione, in attesa che possa finalmente germogliare. Un investimento sul futuro, non un’operazione di consenso.
È stato il sindaco che ha creduto davvero nel superamento dei confini, uno dei pochi amministratori ad abbracciare fin da subito una visione territoriale larga, fondata sulla sinergia tra Comuni e istituzioni sovracomunali. Un’idea che ha difeso anche nel rapporto con Metropolis, riconoscendo nel confronto pubblico e nell’informazione non un intralcio, ma uno strumento di crescita democratica. E anche quando ha sostenuto posizioni diverse, con forza e legittimità, non ha mai rinunciato al rispetto dei ruoli. E in un tempo di politica urlata, superficiale, spesso rancorosa, questa resta forse una delle eredità più preziose. Per lui amministrare significava scegliere. Esporsi. Pagare il prezzo delle decisioni. Dialogare anche quando il dialogo era scomodo. Essere sindaco voleva dire assumersi la responsabilità di scelte impopolari pur di non tradire una visione. Non si è mai nascosto dietro l’ambiguità. Pompei porta oggi i segni tangibili del suo lavoro. Le opere pubbliche, i cantieri, le riqualificazioni urbane non sono solo interventi materiali: sono la traduzione concreta di un’idea di città che guarda avanti. A questo si aggiungono le iniziative culturali e turistiche che hanno restituito a Pompei un profilo internazionale, rompendo definitivamente un provincialismo atavico che sembrava impossibile da scalfire.
Lo Sapio ha restituito ai pompeiani qualcosa di immateriale ma fondamentale: l’orgoglio di appartenere a una città che conta. Carmine Lo Sapio è stato anche un uomo complesso. Apparentemente burbero, spesso diretto fino alla spigolosità. Accettava poco le critiche, ne era consapevole e talvolta riusciva persino a ironizzare su questo suo limite. Non amava le mezze misure né le ambiguità. Ma dietro quel carattere ruvido c’era una profonda umanità, sincerità, un senso autentico della lealtà. L’ultima volta ci siamo incrociati all’ombra del Santuario, il giorno dell’inaugurazione della Pinacoteca mariana. Sul suo volto aveva la sofferenza, ma anche la determinazione ostinata di chi non vuole arrendersi a un male subdolo che consuma lentamente. Indossava la fascia tricolore, il sogno di una vita. Non come medaglia da esibire, ma come responsabilità totale. Essere sindaco non era un punto di arrivo, ma una missione quotidiana. Lo avrebbe fatto per altri cinque anni, con lo stesso piglio, con la stessa dedizione che non conosceva orari né convenienze. Mettendo se stesso, il suo carattere, le sue energie al servizio della città e del territorio che amava, fino in fondo.
Pompei piange il suo sindaco. Piange un uomo che ha lasciato un segno profondo e che continuerà a vivere nelle scelte compiute, nelle opere realizzate, nella visione che ha saputo imprimere. Ma il dolore non cancella la gratitudine. Al contrario, la rende più forte, più consapevole. A Pompei, e a tutto il territorio, resta un’eredità impegnativa. Difficile. Ma necessaria. E ora tocca a chi resta dimostrare di esserne all’altezza.

