SALERNO – Una confessione a cuore aperto, lo choc per le parole pronunciate da chi, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, è stato protagonista e legato in maniera indissolubile ai personaggi di spicco della malavita di Salerno. Ma che, davanti alla morte di un figlio, non è potuto rimanere gelido. Ciro Persico non è rimasto in silenzio. Il ras del centro storico ieri mattina è comparso in carcere davanti al giudice delle indagini preliminari, Elisabetta Boccassini, per l’interrogatorio di garanzia dopo l’arresto avvenuto nella mattinata di San Silvestro quando gli agenti della squadra Mobile del capoluogo, agli ordini del vice-questore Tommaso Niglio, scoprirono nella sua abitazione un arsenale di botti pericolosi, fatto di 93 “cipolle” e alcune batterie di fuochi d’artificio. Un arresto che aveva riportato il 56enne agli onori delle cronache: Persico soltanto alla vigilia di Natale aveva visto finire la misura cautelare dell’obbligo di firma, quei botti sembravano essere il modo migliore per festeggiare l’avvento del 2017 e della sua “nuova vita”, prontamente fermato dagli agenti della Questura di Salerno in quelle ore impegnate in un ampio pattugliamento del territorio cittadino per evitare il proliferare della vendita di fuochi pirotecnici illegali.
Nulla di tutto questo. Davanti al giudice, infatti, Ciro Persico ha raccontato la sua verità. Confessando il suo desiderio di voler onorare al meglio il figlio Vincenzo, ucciso il 19 gennaio del 2014 in un agguato a Montecorvino Rovella. «Voi sapete che mi hanno ammazzato un figlio. Volevo sparare questi botti a Santa Teresa in sua memoria», le parole pronunciate davanti al giudice e alla presenza del suo difensore, l’avvocato Silverio Sica.