Si respira ancora la fatica dei lavoratori, l’odore di ferro, il fumo che spunta dalle ciminiere, i rumori delle gru che spostano blocchi interi di cemento, nelle giornate di pioggia come in quelle di sole. Le onde del mare sbattono contro gli scogli di Rovigliano, lungo tutta la costa ricoperta solo di rifiuti. Montagne di immondizia, trofei della vergogna. Il silenzio assordante si trasforma in una colonna sonora che scandisce la morte di uno scorcio di Torre Annunziata. Un secolo fa quello era il cuore della città, la Ferriera del Vesuvio oggi è una discarica a cielo aperto. C’è di tutto. Troppo. Amianto, plastica, pezzi di auto dismesse, blocchi di imbarcazioni, carcasse di animali, bottiglie di plastica, cumuli di vetro, mattoni e cemento, colate di asfalto dismesse, pneumatici. Gli scheletri delle fabbriche Deriver sono fantasmi che resistono, puzzano di vecchio, di marcio, quello che nessuna istituzione è riuscita a cancellare. Le promesse bluff durante le campagne elettorali e i progetti faraonici di investimento, di riconvertire l’aria in zona industriale, polo nautico sono stati spazzati via dall’incapacità di chi non è stato capace di rilanciare l’area. E così oggi si assiste ad uno spettacolo assurdo: finestroni sventrati, cupole di cemento, e il tutto a pochi metri da uno degli scorci più belli del Golfo di Napoli. Un paradiso diventato discarica. La storia mortificata da chi sversa ogni giorno nell’indifferenza di tutti, un calvario che continua, anzi, cresce di ora in ora trasformandolo in una bomba ecologica. E così le trafile di acciaio sono state sostituite da balle di monnezza offendendo l’orgoglio di una città che in quel rione aveva sacrificato gli anni d’oro dello sviluppo industriale. I capannoni sono diventati ruderi che ospitano barche che vengono incendiate: «Tutti sanno – raccontano alcuni residenti – le portano qui quando le devono demolire, per non pagare lo smaltimento». Qualcuno addirittura ha occupato quel che resta di casolari industriali «ci vivono, ma sono inagibili, aspettano che ci scappa il morto?». I panni stesi all’ingresso del capannone ne sono una conferma. Su quel che resta della pareti che si sbriciolano ogni minuto spuntano anche i segni di colpi di pistola «ogni tanto vengono ad allenarsi, tanto chi li vede». La sera l’area si trasforma in “parco dell’amore” e durante la notte ritrovo di tossici e spacciatori: fare lo slalom tra le siringhe diventa quasi impossibile. Bocche cucite per i residenti delle palazzine confinanti con lo scempio che assistono inermi: «abbiamo denunciato e segnalato, tutto tempo perso». Eppure per quell’area il Comune sborsò anche cinque miliardi delle vecchie lire per acquistarli dalla liquidazione della Deriver, ma da allora tutto è rimasto su carta. Sedici anni per sognare musei, poli tecnologici e nautici, centri di ricerca nautica. Lo scorso anno la falsa partenza per la vasca d’alaggio «tutto pronto, tra una settimana abbiamo il via libera: i blocchi di cemento sono li da anni. L’ennesimo flop di un imprenditore come gli altri che prima fingono di investire e poi fuggono via, divorano fondi e poi diventano fantasmi. Come i pilastri che restano chimera di un altro progetto: il canale che sarebbe servito a collaudare le barche. Due grosse torri, l’ennesimo flop. L’ennesimo aborto che porta la firma di imprenditori e istituzioni, tutti nessuna eccezione, nessun partito escluso. E così i tre capannoni che un tempo ospitavano la storia e che oggi potevano rappresentare il fiore all’occhiello della città, per occupazione, per produzione ma anche solo per la risorsa mare che racchiude tutto il Golfo, oggi non sono altro che inchiostro nero su un libro di sogni che puntualmente, ad ogni campagna elettorale spunta come promessa. Tra quattro mesi si vota: qualcuno sicuramente se ne ricorderà.
CRONACA
28 gennaio 2017
Da polo industriale a discarica. A Torre Annunziata il rilancio dei capannoni Deriver cancellato dai rifiuti