Il teatro d’impegno civile e di denuncia sociale ha una lunga storia. Una storia che affonda le radici in tanti spettacoli “contro” di pionieri come Dario Fo e Franca Rame e, in tempi più recenti, di autori e attori come Ascanio Celestini. E l’effetto talvolta è devastante, in termini di contributo concreto all’emergere della verità. E’ il caso dello spettacolo su Stefano Cucchi, 31enne che morì il 22 ottobre 2009 durante la custodia cautelare. Una morte che ha dato origine a un celebre caso di cronaca giudiziaria, che ha coinvolto agenti di polizia penitenziaria, alcuni medici del carcere di Regina Coeli e un gruppo di carabinieri. Uno spettacolo forte, per non dimenticare, prodotto da Ong Teatro, ex Asilo Filangieri, dedicato alla tragica vicenda che debutta alla Casa del Contemporaneo di Salerno, sul palco della Sala Pasolini. Una storia simbolo di tante ingiustizie. In scena sabato (alle 19) e domenica (alle 18), “Luci della città/Stefano Cucchi”, testo e regia di Pino Carbone, con Francesca De Nicolais, che unisce la leggerezza di Charlot nel film “Luci della città” – in cui si improvvisava inverosimile boxeur – alla gravità di quanto accaduto a Stefano Cucchi, un improbabile peso piuma, che praticava boxe a livello amatoriale. La sensazione è quella di assistere a uno spettacolo che non dovrebbe avere luogo. Perché di Stefano Cucchi, a teatro, non si dovrebbe parlare. Perché è una storia che nessuno vuole sentire. Perché non c’è niente da rappresentare. Un ragazzo di 31 anni è morto. È entrato in carcere sulle sue gambe, è uscito cadavere dal reparto di medicina protetta di un ospedale una settimana dopo. Senza poter vedere i suoi familiari, senza potersi neppure cambiare i vestiti e la biancheria. Sul suo corpo sfigurato vistosi segni, in quel letto d’ospedale i sudori acidi di una solitaria astinenza. La vicenda di Stefano Cucchi è emblematica di qualcosa che non va, di qualcosa che ci riguarda. Che dovrebbe riguardarci tutti, se avessimo occhi.
Il caso di Cucchi fa ancora discutere a distanza di sei anni dalla morte del giovane. Porta la data dello scorso 14 marzo, infatti, l’interpellanza del senatore Carlo Giovanardi, indirizzata al ministero della Difesa. Nell’atto Giovanardi fa una disamina di quelli che sarebbero i precedenti e i provvedimenti adottati avverso Riccardo Casamassima e la sua compagna Maria Rosati, entrambi militari dell’Arma e, allo stato dei fatti, testimoni “chiave”, negli ambiti dell’inchiesta bis relativa alla morte di Stefano Cucchi, per la quale si accusano tre carabinieri di omicidio preterintenzionale aggravato dall’abuso di autorità. Riccardo Casamassima (noto anche per la recente partecipazione ad una trasmissione in onda su Rai Due) e Maria Rosati, hanno reso dopo sei anni dalla morte di Stefano, e dopo un intero processo contro medici e agenti della polizia penitenziaria in seguito tutti assolti, una testimonianza che avrebbe permesso alla Procura di Roma di riaprire il caso e dunque indagare per omicidio.