Ercolano. Quando trovarono il coraggio di denunciare boss e fiancheggiatori dei clan in guerra per il controllo del business-racket all’ombra del Vesuvio erano certi di riuscire – grazie all’aiuto dello Stato – a sbattere in galera i propri aguzzini.
Una certezza lentamente naufragata in anni di inutile attesa, prima di essere mortificata da una decisione – firmata dal gup Marina Cimma del tribunale di Napoli – capace di spazzare via la fiducia di commercianti e imprenditori pronti a dire “no” ai signori del pizzo. Una fiducia oggi in parte restituita dalla sentenza emessa dai giudici della decima sezione penale del tribunale del Riesame di Napoli, con cui è stato autorizzato l’arresto di tredici capi e gregari degli Iacomino-Birra e degli Ascione-Papale.
L’ordinanza
Al termine di un braccio di ferro iniziato a febbraio del 2016, la direzione distrettuale antimafia di Napoli ha ottenuto l’arresto di 13 esponenti di spicco delle due cosche di Ercolano, tutti già detenuti all’interno delle case circondariali di tutta Italia. Raggiunti dal provvedimento il super-boss Stefano Zeno – il recordman degli ergastoli all’ombra del Vesuvio – e il padrino Antonio Birra. Insieme ai capoclan, dovranno rispondere di varie estorsioni aggravate sette soldati dell’organizzazione camorristica con base operativa nella Cuparella. Sul fronte opposto, quattro gli arrestati tra le fila degli Ascione-Papale: Pasquale Ascione, Ciro Guida, Antonio Sannino e Vincenzo Spagnuolo.
La beffa.
Tredici arresti, certo. Ma l’inchiesta condotta dalla Dda di Napoli sulla scorta delle rivelazioni dei commercianti-eroi e della collaborazione dei pentiti aveva consentito al pubblico ministero Pierpaolo Filippelli – oggi procuratore aggiunto a Torre Annunziata – di individuare la bellezza di 74 potenziali fiancheggiatori. Per 46 indagati, il pm aveva invocato l’arresto. Richiesta respinta al mittente, appunta, a febbraio del 2016: alla base della decisione del gup Marina Cimma, infatti, c’era il principio dell’attualità del reato introdotto con la riforma di legge dell’aprile 2015. I fatti al centro delle indagini, infatti, abbracciavano un arco temporale variabile tra la fine degli anni Novanta e il 2009. Un decennio di terrore nella città degli Scavi, fino alla ribellione ai signori del pizzo Le vittime erano commercianti e imprenditori edili titolari di vari cantieri, dalla ristrutturazione di uno stabile alla costruzione di scuole, passando per i lavori di realizzazione della terza corsia dell’A3 nel tratto compreso tra Ercolano e Torre Annunziata, sino al rifacimento del manto sportivo ‘Solaro’ di Ercolano. All’epoca speravano in un repulisti totale e avviarono il cosiddetto “modello Ercolano” diventato un punto di riferimento nella lotta al racket. Oggi, grazie alla tenacia della procura antimafia di Napoli, sono riusciti a portare a casa l’agognata vittoria.
Vittoria di Pirro.
Numeri alla mano, una vittoria di Pirro, considerato come 33 indagati per reati associativi finalizzati alle estorsioni sono rimasti a piede libero a dispetto delle prove schiaccianti raccolte dagli investigatori in quattro anni di indagini, a cavallo tra il 2009 e il 2013. Alla fine, solo in 13 sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare. Perché il coraggio, a volte, non basta. E le nuove leggi rischiano di “agevolare” chi in passato non ha mai avuto pietà con le proprie vittime per fare gli interessi della camorra.
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