Il 16 novembre del 1922 Mussolini parla per la prima volta alla Camera dei deputati da presidente del consiglio dei ministri del Regno d’Italia. Il re Vittorio Emanuele III, che aveva tentato invano la carta Antonio Salandra per la formazione di un nuovo governo, aveva convocato Mussolini il 30 ottobre per assegnargli il compito. Il 16 novembre 1922 l’uomo che aveva organizzato la marcia su Roma presentò la lista dei suoi ministri nella quale c’erano tre personalità fasciste: Alberto De Stefani alle Finanze, Giovanni Giurati alle Terre liberate e Aldo Oviglio alla Giustizia. Il capo del Governo decise inoltre di tenere nelle sue mani le cariche di ministro dell’Interno e ministro degli Esteri. Il suo discorso è passato alla storia come il “discorso del bivacco”, definito così per un passaggio specifico. Disse: «Io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto». Mussolini parlò alla Camera con un linguaggio arrogante e minaccioso, lasciò intendere immediatamente che non ci sarebbe stato spazio per l’opposizione. Studiò ogni sua frase. Ogni metafora. Ogni parola. «Signori, quello che io compio oggi, in questa Aula, è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza ». Poi il monito finale: «Signori, io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera: ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni». Insorsero i socialisti. L’onorevole Modigliani urlò “Viva il Parlamento”. Il giorno successivo il Governo ottenne 306 voti favorevoli contro i 116 contrari di socialisti, repubblicani e comunisti, e 7 astenuti.
M|CULT
16 novembre 2017
Il discorso del bivacco alla Camera