«Il mio crimine è stato quello di essere nato e cresciuto in una famiglia di tradizioni mafiose, e di aver vissuto in una società dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono disprezzati». Leonardo Vitale è il primo pentito di mafia dopo dopo Melchiorre Allegra, che nel 1937 raccontò quello che era l’organigramma interno di Cosa Nostra. Il 29 marzo del 1973 Vitale si presentò alla questura di Palermo al cospetto del commissario Bruno Contrada e raccontò di una crisi spirituale che lo aveva convinto a cambiare vita. Si autoaccusò di due omicidi, di un tentato omicidio, di estorsione e di altri reati minori, e soprattutto fece i nomi di Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Vito Ciancimino ed altri mafiosi. Raccontò anche dell’esistenza di una “Commissione”, descrivendo il rito di iniziazione di Cosa Nostra e l’organizzazione di una cosca mafiosa. Le dichiarazioni di Vitale portarono all’arresto di quaranta membri della cosca di Altarello di Baida, ma la metà di questi furono rilasciati. Lo stesso Vitale finì nel carcere dell’Ucciardone per le sue dichiarazioni, dove venne sottoposto a numerose perizie psichiatriche e dichiarato seminfermo di mente affetto da schizofrenia, venendo rinchiuso nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina
Dopo essere stato dimesso dal manicomio, Vitale venne ucciso una domenica mattina con due colpi di lupara alla testa sparati da un uomo non identificato che lo raggiunse all’uscita dalla chiesa dei Cappuccini di Palermo mentre era in compagnia della madre. Era il 2 dicembre del 1984.
Anni dopo, nella sentenza di rinvio a giudizio per il Maxiprocesso di Palermo 1986, Giovanni Falcone ricorda il coraggio della sua conversione: “Fu ucciso dopo pochi mesi, il 2 dicembre, mentre tornava dalla Messa domenicale”.