Quando Re Carlo arrivò a Villa d’Elboeuf restò incantato. Diede ordine di tirare su la Reggia di Portici e incentivò i nobili della corte a investire in quest’angolo di regno tra Napoli ed Ercolano. Arrivò anche Vanvitelli a progettare ville lungo il Miglio d’oro. Un tesoro di 122 dimore messo sotto i piedi, affossato dalla miopia dei proprietari e dei politici. Da qualche giorno, Mario Rusciano è il nuovo presidente della dell’Ente per le Ville Vesuviane istituito nel ‘71 «per il restauro e la valorizzazione». Metropolis lo ha incontrato per capire che vento tira su un tesoro devastato. Un patrimonio impregnato di storia e di storie imprigionato in un futuro di cultura e turismo che sembra non avrà mai un tempo.
Mario Rusciano, da dove si comincia?
«Fatta eccezione per Villa Campolieto, Ruggiero e delle Ginestre, tutte le altre Ville versano in uno stato di enorme abbandono, necessitano di ristrutturazioni e restauri. Perle nel degrado, a cui si aggiunge spesso anche un contesto urbanistico fatto di incuria, con un’edilizia povera e modesta».
E la Fondazione che è nata per la loro conservazione e valorizzazione che fa?
«Facciamo del nostro meglio, ma abbiamo le mani legate dal punto di vista giuridico e finanziario. Sono pochissime, neanche una decina, le Ville di nostra proprietà o in comodato d’uso, come appunto Campolieto e le Ginestre, le altre sono del Demanio, dello Stato. Oppure di privati e discendenti nobili, che ai nostri solleciti per particolari Ville degradate, come d’Elboeuf, rispondono “Se ci date fondi per restaurare lo faccio, altrimenti resta così”. Noi non abbiamo contributi pubblici, ci manteniamo con le biglietterie. Occorrono milioni e milioni di euro per riportare alla luce la bellezza delle Ville Vesuviane, un patrimonio sprecato anche per le enormi potenzialità turistiche ed economiche. Tenerle così è un po’ come aver deciso di abbatterle».
Solita storia: zero risorse.
«Nessuno investe né il pubblico, né il privato. Siamo riusciti a restaurare Campolieto perché ci sono stati i fondi europei. A parte un contributo per il Festival estivo delle Ville Vesuviane dalla Regione Campania non abbiamo altro, neanche per la manutenzione ordinaria».
E gli imprenditori?
«Contrariamente al nord dove ci sono banche, fondazioni bancarie, imprese, sponsor che finanziano, questo da noi non accade. Con il presidente Giuseppe Galasso, appena scomparso, abbiamo fatto appelli ed incontri con la classe imprenditoriale, ma non abbiamo riscontrato una buona corrispondenza, non c’è sensibilità».
Un patrimonio a un passo dall’oblio.
«La speranza è l’ultima a morire. è necessario mettere da subito in campo alcune azioni fondamentali per creare le condizioni di rilancio».
Quali soluzioni propone?
«Abbiamo già inviato al Ministero, ma senza ottenere ancora risposta, la proposta di un nuovo Statuto che ci consenta di uscire, diciamo, in mare aperto. Ovvero la richiesta di rendere la Regione Campania e la Città metropolitana soci della Fondazione. Ed anche l’opportunità di far entrare le banche e le imprese. Se si apre questa nuova era, si può fare tanto. E poi c’è un’altra partita importante legato a Pompei».
Il Grande Progetto?
«Esattamente. Vorremmo entrare a farne parte, immettendoci così negli itinerari archeologici, fare sistema».
E Ville Vesuviane patrimonio Unesco, possibile?
«E’ un’idea da vagliare, soprattutto per accendere i riflettori: spesso le Ville Vesuviane non sono neanche conosciute, occorre un lavoro di promozione e sponsorizzazione che pure manca».
Quali saranno i suoi primi passi da presidente?
«Abbiamo chiesto al Ministero la concessione di Villa Favorita, perché al momento gestiamo solo il parco così da poterla rilanciare a pieno. E poi abbiamo messo gli occhi su Villa Lauro Lancellotti, la prossima che vorremmo riportare al suo antico splendore. Ma in realtà non so neanche se resterò presidente».
Già molla?
«Bisogna vedere se il Ministero conferma l’attuale Consiglio o decide di rinnovarlo. Naturalmente lo sapremo solo dopo le elezioni».