Non c’è nessuno sul banco dei testimoni, quando il pubblico ministero, Pierpaolo Filippelli, cita i nomi delle persone da ascoltare. La sedia piazzata davanti ai giudici della Corte d’Assise di Napoli è vuota. Di nuovo. Proprio come era successo un mese fa. Il silenzio, spesso, è la voce della paura. Ed è anche la parola più inquietante pronunciata, sinora, nel processo per l’omicidio di Matilde Sorrentino, la mamma coraggio di Torre Annunziata uccisa nel 2004 per aver denunciato i pedofili del rione Poverelli. Un branco di stupratori che avrebbero torturato, filmato e violentato diversi bambini del quartiere all’interno di una scuola.
Ieri, nel processo a carico del presunto mandante di quell’omicidio, c’era in calendario la testimonianza di una donna. Una mamma che come Matilde aveva partecipato, da protagonista, al processo a carico dei pedofili del quartiere. Nelle carte di quell’inchiesta che a fine anni ‘90 fece inorridire il mondo intero, c’è anche la sua denuncia. Una testimonianza chiave che secondo gli inquirenti serve, oggi, a mettere insieme tutti i tasselli di una terribile storia sfociata, poi, nell’omicidio di Matilde Sorrentino. Ma quella donna, già citata nella precedente udienza a giugno, non si è presentata nemmeno questa volta.
Una “casualità” sospetta. Al punto che il giudice ha deciso, per la prossima udienza, di disporre l’accompagnamento coatto della testimone. La donna, come stabilito ieri, verrà portata in aula dai carabinieri. Con lei ci sarà anche suo figlio, una delle vittime delle “bestie” del rione Poverelli. Nella precedente udienza la testimone, sottoposta a misura cautelare, aveva deciso di non presentarsi. Stavolta, invece, la sua assenza in aula ha sorpreso anche gli inquirenti. Specie dopo quello che era accaduto nell’udienza del 13 giugno scorso.
Oltre all’assenza della mamma coraggio “sparita”, venne, infatti, ascoltata un’altra donna che ai pm aveva parlato, all’epoca, degli abusi sessuali subiti da suo figlio. Alle domande del pubblico ministero in aula, però, la testimone ha replicato con una lunghissima serie di «non so», «non ricordo». Come se fosse possibile cancellare dalla mente le lacrime di un figlio violentato. E così i tanti misteri legati a quel processo, restano ancora sepolti dopo quasi 20 anni. Silenzi ascoltati in aula anche da Francesco Tamarisco, il narcos del quartiere rinchiuso nella gabbia del tribunale con addosso l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Matilde Sorrentino.
Secondo gli inquirenti, il ras dei “Nardiello” avrebbe armato la mano del killer, Alfredo Gallo (condannato all’ergastolo in via definitiva per questo delitto ndr) per vendicarsi. Tamarisco, infatti, finì alla sbarra nel processo ai pedofili del quartiere. Un processo che, un po come quello che va in scena oggi, è stato scandito da numerosi dietrofront in aula, con deposizioni ritrattate all’ultimo minuto, testimoni spariti e bambini che decisero di non parlare. Il rampollo della dinastia dei narcos con agganci e affari in Sud America, per questa vicenda è stato assolto in Appello. Ma secondo l’indagine condotta dal procuratore di Torre Annunziata, Pierpaolo Filippelli, è lui il mandante di quel terribile omicidio. E’ lui – per l’accusa – l’uomo che ha armato la mano di Gallo, pagando poi con oltre 40.000 euro il silenzio del killer finito dietro le sbarre.
Una storia ripercorsa tra le pagine dell’inchiesta che ha portato a riaprire il caso dopo 14 lunghissimi anni. Al centro del fascicolo anche i racconti di 10 collaboratori di giustizia un tempo vicini ai clan di Ercolano e Torre Annunziata. Pentiti che hanno indicato proprio in Tamarisco l’uomo che avrebbe organizzato l’agguato. Nella prossima udienza, oltre alla testimone che verrà accompagnata dai carabinieri assieme a suo figlio, è previsto anche il racconto di un’altra delle mamme che all’epoca decisero di denunciare gli abusi subiti dai bambini. Chissà se anche stavolta quella sedia piazzata davanti ai giudici napoletani resterà vuota. Chissà se qualcuno, dopo quasi 20 anni di silenzi, avrà il coraggio di parlare. Il coraggio di non lasciare sola, di nuovo, la povera Matilde Sorrentino.
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