di Rocco Traisci e Alfonso Bruno
Considerato uno dei dischi live più importanti del secolo, Mtv Unplugged in New York festeggia 25 anni il prossimo 18 novembre. La storia del mitico album dei Nirvana e della generazione “grunge”
Mtv Unplugged, la ristampa 25 anni dopo.
(rocco traisci). In un articolo pubblicato sul New York Times, Jon Pareles sostenne che la DGC – a corto di materiale inedito dopo il suicidio di Kurt Cobain – si trovò a fronteggiare il dilagare del pericolosissimo fenomeno “bootleg” (gli audioconcerti abusivi registrati “a mano” dai fans). Nell’agosto 1994 infatti fu annunciata la pubblicazione di un doppio album live dei Nirvana intitolato Verse Chorus Verse, una ventina di brani selezionati dal precedente tour In Utero. “La scelta delle canzoni – ribadì Pareles – si presentò emotivamente troppo difficile per i membri superstiti della band, e quindi il progetto venne cancellato”. Al suo posto, Dave Grohl e Krist Novoselic decisero di far uscire il materiale reperito da un concerto in acustico realizzato per MTV, “Unplugged in New York”, ultimo atto di Cobain e dei Nirvana affiancati per l’occasione dalla violoncellista Lori Goldston e da Pat Smear, ex chitarrista dei Germs già in formazione da qualche anno. Quella notte del 18 novembre ’93 nessuno avrebbe immaginato che un semplice live show per la televisione avrebbe rivoluzionato il mondo della musica rock: i Nirvana, grazie a quel tributo “postumo”, diventarono i dominatori incontrastati del movimento grunge di Seattle, sia per talento artistico sia per sintesi tecnica (tenete presente che erano gli anni di band già strutturate a livello mondiale come Soundgarden, Alice in Chains e Mudhoney). Nel 1994 Mtv Unplugged in New York si piazzò direttamente al primo posto nella classifica statunitense di Billboard, vendendo 310.500 copie nella prima settimana. La rassegna stampa dell’epoca fu concorde nel giudicare l’operazione un autentico miracolo discografico. Ben Thompson di Mojo scrisse: «Il problema con gli album unplugged (in acustico, ndr) è che, senza l’accompagnamento di un videoclip, sembrano incompleti. Nel caso specifico dei Nirvana invece è un vantaggio, perché quella particolare esperienza è talmente intensa da apparire irripetibile». Inserito tra i 10 migliori album live di tutti i tempi da Rolling Stone, Mtv Unplugged in New York sarà ristampato in vinile entro Natale per celebrare il 25° anniversario della sua uscita (1° novembre ‘94), con cinque brani inediti estratti dalle prove dello show. Dopo gli anni della cosiddetta “generation x”, Unplugged è stato il grimaldello per aprire le porte discografiche a migliaia di nuove band, ispirate alla rivisitazione di perle assolute come Come as You Are, Something in the Way, Oh Me, Lake of Fire , All Apologies e le celebri cover Jesus Don’t Want Me for a Sunbeam dei Vaselines, il blues di Where Did You Sleep Last Night? (meglio conosciuta come In the Pines, brano tradizionale americano di fine XIX secolo) e la monumentale versione di “The Man Who Sold the World” di David Bowie, oltre a tre pezzi (in scaletta) dei Meat Puppets, eseguiti insieme agli stessi fratelli Kirkwood. Un disco tirato a lucido da tenere gelosamente custodito nei nostri affetti, da vivere, sentire, risentire e soprattutto capire ogni volta di più.
Suicidi, delitti, droga e complotti: la lista maledetta del club “27”
(rocco traisci). Masochisti, depressi, paranoici, mitomani, tossici, alcolisti. Oppure vittime di intricati noir, complotti politici e delitti da fantasy passionale? Quante e chi sono le rockstar decedute prematuramente come Kurt Cobain? E soprattutto perché?Di fronte al mistero che attraversa il limbo dell’arcano e dell’occulto e si aggroviglia nei cordoli del caso giudiziario, c’è sempre un alone di soggezione ad ammettere che forse forse, in fondo in fondo, qualcosa di irrisolto ci deve pur essere. Il suicidio del leader dei Nirvana (a novembre esce la ristampa in vinile del live postumo Mtv-Unplugged in New York del ‘94) ha ispirato i best seller di due giornalisti americani, Max Wallace e Ian Alperine (il primo del ’98 Who killed Kurt Cobain e Love And Death, The Murder Of Kurt Cobain del 2004), foraggiati dall’investigatore privato Tom Grant, secondo cui Kurt Cobain fu assassinato. Grant non era un complottista. Fu ingaggiato dalla moglie di Cobain, Courtney Love, per rintracciare il marito fuggito (qualche giorno prima del ritrovamento del cadavere) dalla clinica Exodus di Marina del Rey a Los Angeles dopo un brevissimo ricovero per abuso di eroina. Le indagini parallele dei due cronisti e dell’investigatore privato costrinsero la polizia ad aprire un’inchiesta, che però si scontrò con la carenza di elementi probatori che avvalorassero la loro tesi. L’archiviazione delle indagini chiaramente aprì la spirale della leggenda, con nuovi colpi di scena che coinvolsero la stessa Courtney Love, poi scagionata dall’agghiacciante accusa di essere stata mandante del delitto.Dopo la leggenda resta la mitologia: quel corpo adagiato nella depandance del garage della villa al 171 di Lake Washington Boulevard East, a Seattle, alle 8 e 40 dell’otto aprile 1994, il fucile Remington M-11 con i colpi in canna, le Converse nere, i 120 dollari in contanti, le siringhe e i cucchiaini, la lettera d’addio infilzata nel terriccio di un vaso e il sangue sul pavimento sono cimeli di un maledetto, maledettissimo atto di disperazione, che restituisce al mito e non al complotto la fine di un genio del rock, forse l’ultimo grande innovatore dopo John Lennon. L’angoscia che ammanta la fine di Cobain non è la ricerca della verità giudiziaria. Il mito, come detto, insabbia le forzature investigative e quindi pazienza, facciamocene una ragione. L’aspetto fantastico (che va oltre il reale) è la strana coincidenza dell’età: 27 anni. Molti sanno già dove vogliamo andare a parare, ma a pensarci bene è proprio qui che la mitologia torna leggenda e la leggenda ritorna mistero. L’espressione Club 27, a cui ci riferiamo, è stata coniata nel ’94 dal giornalista Charles R. Cross, biografo di Cobain. Teorizza l’esistenza di un macabro club di rockstar morte prematuramente a 27 anni come Kurt, una lista tristemente allargatasi ad Amy Winehouse il 23 luglio del 2011. Ma chi sono gli altri soci di questo esclusivissimo club? Jim Morrison, sciamanico frontman dei Doors, fu trovato morto nella vasca da bagno della sua casa di Parigi il 3 luglio 1971. Brian Jones, fondatore dei Rolling Stones, fu stroncato nella notte tra il 2 e il 3 luglio del 1969 da un mix fatale di alcol e droghe che ne causò l’annegamento in piscina. Jimi Hendrix, il più celebre e talentuoso chitarrista della storia del rock, rimase soffocato nel proprio vomito per eccesso da barbiturici il 18 settembre 1970. Janis Joplin, regina di Woodstock, morì per overdose poche settimane dopo Hendrix, il 4 ottobre 1970.Solo una beffarda coincidenza? Un cabalistico scherzo del destino? Il club dei 27 è una straordinaria trovata giornalistica, triste parabola di un gruppo di ragazzi travolti dal successo e da un sacrificio collettivo. Niente è gratis. Se da una parte la loro sconfitta rappresenta la banalità del male e scatena l’anatema dei benpensanti di ogni tempo, dall’altra ravviva i tizzoni dormienti dell’immortalità e la sacralità della propria arte.
Seattle, la rivoluzione della Generazione x
(alfonso bruno). Cosa rappresenta per gli americani una piccola città come Seattle? Ecco tre definizioni secche. Primo: è il posto più piovoso degli States. Secondo: ha dato i natali a Jimi Hendrix e Kurt Cobain. Terzo: a cavallo tra la fine degli ’80 e i ‘90 a Seattle un manipolo di “giovani favolosi” (che poi fu definita Generazione X) ha rivoluzionato il mondo della musica. E scusate se è poco, direbbe chi a Seattle ci vive e soprattutto ha vissuto quell’epopea.La rivoluzione inizia con la nascita di un giornale clandestino, la fanzine Sub-Pop fondata da Bruce Pavitt, quattro fogli distribuiti a mano che parlavano di punk music e di bands locali; sarà il fulcro di una delle etichetta discografiche più influenti della storia del rock, con l’ingresso di Jonathan Poneman e la pubblicazione di due compilations diventate epiche: “Sub-Pop 100” e “Sub-Pop 200”, la prima è una semplice raccolta di band indipendenti non legate alla “scena” di Seattle, la seconda testimonia invece la nascita di un nuovo genere musicale.Il team Sub-pop, da lì a due anni, (la compilation era del 1988), crea dal nulla il fenomeno “grunge” grazie alla follia del demiurgo Jack Endino, cantante chitarrista degli Skin Yard, fonico e produttore di riferimento del Seattle sound.Nella Sub-Pop 200 compaiono band destinate a diventare icone mondiali: Soundgarden, Screaming Trees, Mudhoney, Nirvana, Green River, Fluid, Tad e via dicendo. Si tratta di un sound pieno di contaminazioni (hard rock metal misto al punk e alla psichedelia) che spazia da stili vocali “zeppeliniani” ad atmosfere urlate tipiche del punk. Insomma una nouvelle vague musicale rivoluzionaria, nonostante tematiche estremamente derivative.Emblematica la storia dei Green River, vera pietra filosofale del grunge: da questa band seminale si formarono due gruppi fondamentali come Mudhoney e Mother Love Bone, questi ultimi forse i più glam rock dell’intero movimento, capitanati dall’icona per eccellenza dei cantanti di Seattle, Andy Wood, disperato cantante dei Malfunkshun e figura di grande ispirazione per tutto il movimento al tal punto che, alla sua morte per overdose, i Soundgarden e i Mother Love Bone (attenzione a questa band) gli dedicarono un album, Temple of the dog.Chris Cornell, leader dei Soundgarden, mette in pratica in maniera sublime la lezione di Paul Rogers, cantante del gruppo hard blues inglese “Free”. Ma non solo: in quel disco c’è il debutto ufficiale di un giovanissimo Eddie Vedder che trasformerà i Mother Love Bone nei Pearl Jam (che insieme agli Alice in Chains erediteranno il dna di Seattle diventando due delle band più famose al mondo).Nel giro di due anni (dall’88 al ’90) Seattle sforna una serie di album ancora attualissimi grazie ad etichette indipendenti come la C/Z e la Sst, protagoniste insieme a Sub-pop di un vero e proprio movimento culturale.La “tetrade” Nirvana, Soundgarden, Mudhoney, Screaming Trees germoglia sotto l’autorevole influenza di band storiche come Stooges e Black Sabbath (Nirvana), Led Zeppelin e Black Flag (Soundgarden), Sonics ed MC5 (Mudhoney) e Doors (Screaming Trees), il tutto condito da ingredienti psichedelici di californiana memoria. Un mix esplosivo che non può rimanere sotto silenzio. Infatti le Major si lanciano sulle band come sanguisughe assetate di denaro e di successo: la Polygram scrittura i Mother Love Bone, la A&M si accaparra i Soundgarden, la Geffen centra il colpo Nirvana, la Epic scommette su Screaming Trees e Pearl Jam, la Columbia su Alice in Chains. Il passaggio alle etichette multinazionali però preoccupa i fan, terrorizzati da possibili virate mainstream. Nulla di tutto questo: gli album prodotti dalle major sono gemme immortali come Apple dei Mother Love Bone, Nevermind dei Nirvana, Louder Than Love e Badmotorfinger dei Soundgarden, Sweet Oblivion degli Screaming Trees, Ten dei Pearl Jam e Would degli Alice in Chains. Una miniera d’oro che però si esaurì ben presto, confermando in parte le perplessità dei fan: quando le major si misero alla spasmodica ricerca dei cloni dei Nirvana arrivarono gli Stone Temple Pilots, seppellendo per sempre la magia del grunge.
Nirvana, il mito grunge che sopravvive a Cobain
(alfonso bruno). Prendiamo gli Stooges, aggiungiamo due dita di Led Zeppelin e un cucchiaino di Black Sabbath, poi shakeriamoli con i Black Flag e i Kiss, coloriamoli di psichedelia californiana ed ecco a voi il “grunge.”Nel lontano 1986 due sognatori, Chris Hanzsek e Tina Casale fondarono la C/Z records pubblicando quella che è considerata la prima compilation di Grunge: Deep Six, nella quale figuravano band come Soundgarden, Green River, U Men, Skin Yard, Malfunkshun e Melvins, che aggredirono con suoni ed urla il nuovo mercato americano di quel periodo.Certamente nessuno immaginava che sei anni dopo accadesse una vera e propria rivoluzione di genere, anche se le idee apparivano chiare e innovative: rabbia punk, aggressività heavy rock, effluvi di psichedelia erano il frutto del background di quegli adolescenti incazzati.Il manifesto generazionale del grunge è stato, senza ombra di dubbio, il brano “Smells like a teen spirit” dei Nirvana e l’intero album “Nevermind”, datato novembre 1991. Per comprendere come si giunse a quel grido di disperazione (che culminerà il 5 aprile del ’94 con la morte del leader Kurt Cobain) bisogna analizzare il testo di Territorial Pissings, uno dei brani più celebri della band: “Quando ero un alieno le culture non erano opinioni, non ho mai incontrato un uomo saggio e se è tale vuol dire che è una donna. Solo perché sei paranoico, non voglio dire che non ti stanno inseguendo, devo trovare un modo, trovare un modo, quando sono lì devo trovare un modo, un modo migliore, sarà meglio aspettare”.L’alieno Kurt trasformò il suo disco Nevermind in un vero e proprio best seller. E nessuno se l’aspettava, compreso noi giovani appassionati che seguivamo la scena di Seattle da un altro emisfero del mondo. Si trattò di un boato nel vuoto che ancora oggi fa eco nelle influenze di migliaia di band (anche affermate) che prendono lezioni da quel disco.I Nirvana non furono create a tavolino, come molti fenomeni musicali attuali. Si trattava di un gruppo di ventenni che si aggrapparono alla filosofia di Seattle, dove era ancora possibile esibirsi in piccoli club di provincia, presentare una demo e fasri produrre da etichette discografiche “realmente indipendenti”, con pochi mezzi a disposizione ma grande voglia di esprimere e comunicare il disagio giovanile attraverso suoni antichi ma estremamente diretti e seducenti (finito il periodo dei transistor e dei suoni sintetici si ritornò al valvolare). La storia di Seattle è forse l’ultima vera storia romantica del rock contemporaneo, per questo vale la pena sempre portarla in auge. Come i miti greci, anche i miti del rock nascono da piccole parabole destinate ad orientare le tendenze, gli stili di vita e la cultura. Basti pensare che Nevermind è stato classificato alla posizione 17 della lista dei 500 migliori album secondo Rolling Stone e alla terza posizione nella classifica dei 100 migliori album di sempre stilata dalla rivista inglese Q. Nel 2005 il disco è stato inserito nella National Recording Registry dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d’America.Anche per questo di Kurt Cobain, dei Nirvana e di quella fantastica generazioni di fenomeni non si potrà mai parlare al passato.