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Starsailor, riscoprire Tim Buckley 50 anni dopo
M|MHZ
11 marzo 2020
Starsailor, riscoprire Tim Buckley 50 anni dopo
Rocco Traisci

Rocco Traisci.

Un disco inavvicinabile, come il timbro di ogni frase, l’estensione, la parola armonizzata, il verso barocco delle sue preghiere. Album sperimentale e psichedelico uscito nel marzo del ’70 (mezzo secolo fa, tra due ere musicali lontanissime), Starsailor si consacrerà come il massimo capolavoro di Tim Buckley e indubbiamente “uno dei più ardui esperimenti sul canto mai realizzati”, come sostenuto dai biografi Ritchie Unterberger e John Vignola, i massimi esperti della dinastia dei Buckley. Tim fu un cantante, certo, un compositore di testi e sceneggiatore, certo, ma anche padre del cantautorato americano, insieme a Nei Young e Bob Dylan. Soprattutto padre di Jeff Buckley, icona del post rock anni ’90, morto a trent’anni in circostanze misteriose più o meno come lui, come lui sicuramente una delle più raffinate voci del cantautorato mondiale tout court. Buckley (padre) nacque a Washington, figlio di un’italoamericana e un irlandese. Miles Davis nel giradischi di casa tra l’infanzia a New York e l’adolescenza a Bell Gardens in California.Lo scarso successo commerciale di Starsailor – che verrà rivalutato anni dopo e inserito nei cento dischi più importanti di ogni epoca – condusse Tim nella spirale della depressione e della dipendenza per l’alcool e le droghe, fino al 29 giugno 1975, quando morì a Santa Monica, in California, per un’overdose di eroina.Dopo un primo album omonimo di folk tradizionale (1966), sono usciti i brani di Goodbye and Hello (1967) che segnano “un’evoluzione stilistica in direzione del jazz, del folk e del pop” (Eddy Cilia, Enciclopedia del Rock ’60) e quelli di Happy Sad (1968), dove la voce si smarca dagli schemi della strofa e diventa eterea, messianica. Le parole di Starsailor sono il testamento spirituale di Tim Buckley, spinte al massimo della potenzialità. Il figlio Jeff ne ha ereditato magnetismo e virtù vocali e insieme a Kurt Cobain sarebbe diventato forse la più grande rockstar degli anni ’90. Dopo appena due album annegò nel Mississipi, raggiungendo il padre (e lo stesso Cobain) nel pantheon degli artisti maledetti.Il 1970 di Starsailor fu anche l’anno di tanti altre perle del country folk, come After The Gold Rush (Reprise 1970) di Neil Young, Cosmo’s Factory (Fantasy 1970) dei Creedence Clearwater Revival, “La quintessenza dell’american sound” e Pearl di Janis Joplin. Contemporaneamente i Black Sabbath uscivano con Paranoid (Vertigo 1970) e The Stooges con Funhouse (Elektra 1970) aprendo e chiudendo uno degli anni più prolifici del grande rock americano.

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folk americano folkrock starsailor Tim Buckley
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