«Anche solo pensare di utilizzare le strutture residenziali per anziani per ospitare malati comuni è un’idiozia sul piano medico. Arrivare a farlo, per di più con malati altamente contagiosi come quelli infetti da Covid è un atto criminale a tutti gli effetti, di cui una volta finita l’emergenza dovrà rispondere chi lo ha ordinato».
Un giudizio netto, inequivocabile, quello del dottor Giuseppe Angellotti, direttore sanitario dell’Oasi San Francesco, un centro residenziale di riabilitazione sanitaria per anziani di Castellammare di Stabia che ad oggi rappresenta una positiva eccezione nell’ambito delle strutture regionali di questo tipo.
Dottor Angellotti, non avete registrato nessun contagio da Coronavirus, a differenza di altre Rsa che invece sono state pesantemente colpite. Che provvedimenti avete adottato per evitare il contagio?
«Innanzitutto va chiarito che nella nostra struttura, come in tutte le altre di questo tipo, accogliamo pazienti già molto fragili: tanti sono allettati, altri con disabilità gravi, sia fisiche che psichiche. Quindi sono quelli più a rischio in caso di contagio, non solo da coronavirus ma anche di normali influenze di stagione. Per questo, già normalmente, adottiamo particolari cautele nel periodo di massima diffusione. Quest’anno, non appena è iniziata a diffondersi la notizia della pericolosità del Covid, abbiamo aumentato la cautela, quando ancora non era obbligatorio per legge».
In che modo? Che misure avete adottato?
«Già a fine febbraio abbiamo disposto una drastica riduzione delle visite ai pazienti, anche da parte dei parenti. Ovviamente nell’ottica della loro massima tutela. I contatti con i familiari sono comunque stati mantenuti, anche se a distanza, con videochiamate via internet. Quando il 4 marzo è stato adottato il primo decreto “Lock Down” da parte del governo, abbiamo bloccato del tutto l’accesso ai visitatori esterni».
Sul piano strettamente sanitario, invece che misure avete adottato?
«Considerando che anche in condizioni di normalità effettuiamo regolarmente un’accurata sanificazione di tutti gli ambienti, anche con l’ozono, è bastato aumentare ulteriormente il livello di accortenza da parte di noi medici e degli operatori: i guanti, per noi, già normalmente sono una sorta di seconda pelle. Abbiamo reso obbligatorio l’utilizzo delle mascherine, che prima erano necessarie solo in determinate circostanze, e avviato, già prima che se ne iniziasse a parlare come obbligo, l’utilizzo del cosiddetto termoscanner per i dipendenti, soprattutto all’ingresso. Infine, da nove giorni, abbiamo deciso una stretta ancora più drastica».
Cioè?
«Di concerto con i sindacati, e su base esclusivamente volontaria, in 12 tra 46 dipendenti, abbiamo scelto l’isolamento a oltranza. Ormai da 9 giorni, cioè, viviamo 24 ore su 24 all’interno della struttura e prestiamo assistenza ai nostri 65 ospiti. Oltre al sottoscritto, come medico, hanno aderito l’animatrice Loreta Ciancone, gli infermieri Mauro Majoli e Umberto Visiello, gli operatori socio sanitari Raffaele Carolei, Giuseppe Cascone, Vito Carolei, Rosalia D’Ambrosio, Leopoldo Esposito, Annamaria Papaleo, Maria Assunta Senatore e Luigi Silvestri. A loro va il mio più sentito ringraziamento, sia personale che a nome della proprietà, per la straordinaria professionalità e l’abnegazione totale che stanno dimostrando in questo momento così difficile, mettendo in secondo piano anche i loro affetti più cari rispetto ai nostri “nonnini”».
Ma qual è il senso di questa misura così restrittiva, e fino a quando potrà durare?
«In primo luogo, questo isolamento dimostra che la quarantena funziona nel limitare il contagio. Basti pensare che rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in cui qui all’Oasi si verificarono 6 decessi, nel mese di marzo 2020 ne abbiamo registrati solo tre, e ovviamente non di Covid. In secondo luogo, il motivo di questa decisione va nella massima tutela possibile dei nostri pazienti. Di certo non possiamo andare avanti all’infinito. L’ideale sarebbe avere dei test periodici, anche a cadenza settimanale, per stroncare sul nascere eventuali principi di focolai in caso di positività».
Parla dei tamponi? Non sembra così facile riuscire ad ottenerli…
«Andrebbero bene anche i test rapidi. Proprio per oggi è prevista da parte dell’Asl la prima tornata di test rapidi, sia per i 46 dipendenti che per i 65 ospiti della nostra struttura. Ripeto, se venissero ripetuti a scadenza ravvicinata, questo ci consentirebbe sia di ridurre ragionevolmente i rischi per i pazienti e potremmo così pensare a una graduale riapertura al restante personale che, anche se a casa, ha fatto il tifo per tutti noi e so per certo che ha rigorosamente rispettato le norme».