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Virus dell’idiozia sul web. Le vendette sessuali nella giungla della rete
CRONACA
9 aprile 2020
Virus dell’idiozia sul web. Le vendette sessuali nella giungla della rete
Ciro Formisano

La lezione di Tiziana Cantone, la ragazza napoletana che si è tolta la vita perché massacrata sui social per un video hot circolato in rete, non ci ha insegnato nulla. Tutti siamo in pericolo nella giunga del web. Dove a comandare sono i leoni da tastiera. Criminali, gente malata che si vendica per un amore finito rovinando la vita alla persona che magari dicono di amare ancora.

Basta un clic per dare in pasto a centinaia, miglia di persone, quella foto, quel video. Basta un semplice gesto per distruggere l’esistenza di una persona, ma anche di un bambino innocente. Si perché spesso le vendette pornografiche e la pedopornografia vanno a braccetto nell’inferno dei social. L’inchiestaAd accendere i riflettori su questo torbido e squallido universo è stata un’inchiesta giornalistica di Wired Italia. Un’indagine che ha portato all’attenzione collettiva l’esistenza di una vera e propria galassia di gruppi e chat nelle quali si scambiano materiali proibiti. Il fulcro di questo sistema è “Telegram”, la chat russa ideata dai fratelli Pavel e Nikolaj Durov. E’ dalla palude delle conversazioni di gruppo che viene fuori un mondo che fa impallidire il deep web, il famoso web oscuro.

Migliaia di utenti in rete che condividono, mettendole alla mercé di tutti, immagini, foto, dati sensibili come indirizzo, numero di telefono o attività professionale, di migliaia di ragazze. In tutto oltre 30.000 messaggi al giorno. E nel giro di pochi istanti le foto sono passate di telefono in telefono, di chat in chat, inoltrate e condivise senza alcun ritegno. Mercificando e mortificando l’intimità delle vittime nel più barbaro dei modi. Violando la loro privacy senza alcun rimorso. Ma nel substrato di Telegram c’è anche molto di più.

La pedopornografia Padri di famiglia che senza alcuna moralità hanno inviato ai loro “compagni” virtuali le immagini delle loro figlie, nipoti o parenti più o meno stretti. Genitori che chiedevano, addirittura, suggerimenti su come violentare quelle ragazze. Un netto incremento nelle condivisioni si era avuto, come dimostrano i dati raccolti da Wired, dall’inizio della quarantena forzata a casa a causa dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. L’incremento di afflussi e di condivisioni ha portato Telegram a bloccare quei gruppi, ma ciò non ha fermato i gestori degli stessi e i partecipanti alle chat. Gli orchi del web hanno subito iniziato a utilizzare gruppi di riserva senza alcun ritegno.L’emergenza Che le restrizioni generate dal Covid abbiano reso ancor più caotico il vortice di reati telematici e gli scambi proibiti di immagini e video lo hanno certificato anche gli ultimi dati resi noti dal Viminale. L’allarme è scattato all’alba della pandemia.

Qualche settimana fa, infatti, il Ministero dell’Interno ha diffuso una nota nella quale ha sottolineato l’esponenziale aumento di reati di questo genere in concomitanza con l’esplosione della pandemia . Così come è cresciuto – si legge nella nota ufficiale – «il rischio di adescamento dei minori online». Nel mese di marzo il dato delle persone denunciate dalla polizia postale è balzato alle stelle. Dati allarmanti accompagnati dall’invito, rivolto ai genitori, di monitorare con attenzione l’attività social dei propri figli. La legge Un’emergenza che ha riacceso il dibattito politico sulla necessità di una norma che punisca in maniera esemplare i protagonisti di questo genere di reati. Ad oggi chi è vittima di revenge porn può sporgere denuncia per “cyberbullismo” o diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. E ancora violazione della privacy.

Un rischio al quale siamo esposti tutti, come ripete anche l’osservatorio Cyber Security dell’Eurispes, scondo il qule, negli ultimi anni, il «revenge porn ha raggiunto proporzioni allarmanti». «I casi di cronaca e gli studi evidenziano il rischio di una esposizione generalizzata: nessuno è escluso, dagli adolescenti fino ai rappresentanti delle Istituzioni, passando per personalità pubbliche e per cittadini comuni».

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