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Il virus divide l’Italia. “Regionalizzazione delle aperture”
CRONACA
20 aprile 2020
Il virus divide l’Italia. “Regionalizzazione delle aperture”
Redazione

Calano i malati ma i dati del contagio disegnano sempre più un’Italia divisa, un paese dove il coronavirus sembra dilagare in maniera difforme. Dati che per la fase 2 non sono di poco conto. E che potrebbero pesare anche sulle modalità della tanto attesa ripresa. A dirlo chiaro è il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli: “Si può ragionare su una regionalizzazione delle aperture: nelle zone con un numero inferiore di persone positive è più facile valutare la catena dei contatti”.

Un’ipotesi che non sta bene al presidente della Lombardia Attilio Fontana, che ha paventato “un’Italia zoppa” se la fase 2 dell’emergenza dovesse cominciare prima in alcune zone e poi in altre. Va da sé che secondo questo principio la regione di gran lunga più colpita – ma anche la più ricca e produttiva – finirebbe per riaprire in un secondo momento rispetto ad altre. Eppure i numeri, con i dati che marcano una diffusione differenziata del contagio, e le considerazioni degli esperti che supportano il governo indicano come possibile la ‘ripartenza’ tenendo proprio conto del numero dei casi e del trend. L’Istituto superiore di sanità (Iss) sta calcolando l’R0 – l’indice di contagiosità – di tutte le Regioni e nei prossimi giorni lo comunicherà all’esecutivo, prima di renderlo pubblico. Si sa già che alcune regioni, specie del centro-sud, hanno un indice inferiore a 1 (ogni persona contagiata ne infetta meno di una).

Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) Franco Locatelli ha detto che al momento l’R0 medio nazionale è 0,8. L’obiettivo è sempre stato portarlo per cominciare sotto l’1 in ogni regione (in Lombardia nel periodo di massimo impatto del Covid 19 era superiore a 3). I numeri di oggi della Protezione civile indicano un calo che prosegue delle vittime: sono 433, il dato più basso da una settimana (il totale sempre più spaventoso è di 23.660). In flessione costante anche le terapie intensive (-98), mentre ci sono 2.128 guariti in più, che portano i dimessi oltre i 47 mila. Nel trend anche il numero dei contagiati – che comprendono morti e guariti -: sono 178.972, con un incremento rispetto a ieri di 3.047. Risalgono invece dopo molti giorni i ricoverati con sintomi, ma sono appena 26 in più rispetto a ieri, per un ammontare totale di oltre 25 mila. Oltre 50 mila i tamponi effettuati nelle ultime 24 ore. I numeri da tenere d’occhio sono soprattutto quelli della Lombardia e del Piemonte: la prima fa vedere qualche segnale positivo, con 163 vittime, il numero più basso da una settimana. I nuovi malati sono 302, mentre ieri il dato si era impennato a 761. Calano inoltre le terapie intensive (-25). Il Piemonte fa registrare 79 morti, in un tragico trend costante, e 247 nuovi malati. Il Veneto, invece, se da un lato ha altri 28 deceduti, dall’altro mostra un calo di 234 nuovi malati. I dati raccontano una realtà della quale bisognerà tenere conto per ripartire. Per questo i presidenti di Regione puntano ad avere una maggiore autonomia oltre che una protezione dei confini con il divieto temporaneo di ingressi e partenze extraregionali, tutte richieste ieri avanzate all’esecutivo. Oggi il presidente della Liguria Giovanni Toti ha nuovamente spinto sull’autonomia: “è evidente che le esigenze sono diverse e diverse le specificità”. Una via sembra segnarla il governatore della Puglia Michele Emiliano invocando “un decreto legge che ‘copra’ le scelte delle Regioni, almeno le macro-decisioni”, così da poter allentare certe misure. Dal Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga dice ok a un coordinamento nazionale, “ma bisogna vedere anche le specificità dei territori e la diversa capacità di reazione”. Sulla stessa linea il Veneto. Era stato proprio il capo della task force anti-coronavirus nominato da Zaia, Andrea Crisanti, autore della strategia efficace dei tamponi diffusi, a prospettare una riapertura in base ai contagi, “la Sardegna per prima e la Lombardia per ultima”. Il Veneto ha fatto appena 10 mila tamponi meno della Lombardia, ma ha meno di un decimo delle sue vittime.

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