Fuga di dirigenti dal Nord, che scappano, verso le proprie famiglie al Sud, lontano dal rischio di un altro lockdown da soli. E’ la rinuncia di molti presidi del Sud neo assunti all’ultimo concorso in Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino o Emilia Romagna, che pur di non rivivere l’incubo di restare isolati preferiscono tornare al Sud come docenti, rinunciando così all’incarico.
La denuncia è arrivata dai sindacati e dalla stessa Associazione Nazionale Presidi (Anp), che chiede di fare in fretta anche sulla ricerca di nuove strutture dove permettere lo svolgimento delle lezioni ai ragazzi: “servono decine di migliaia di strutture, restano fuori 40mila classi”. E si fa sempre più largo, anche attraverso i Cgil, Cisl e Uil, la richiesta della figura del ‘medico di scuola’. E mentre il ministero organizza per il ritorno tra i banchi, nella parte del Paese più colpita dal Covid i dirigenti abbandonano gli istituti per tornare dietro le cattedre al Sud. “Sono troppo lontani da casa e non riuscendo ad ottenere l’avvicinamento scelgono di tornare – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Anp – Dopo un primo anno attraversato dai problemi di organizzazione per il Covid e il lockdown ora non vogliono rischiarne altri lontani dai propri cari”. Giannelli spiega che si tratta soprattutto di quei docenti originari del Sud che hanno vinto il concorso e sono stati messi in ruolo a settembre 2019, magari al Nord lontano dalla propria residenza: “ma dopo un anno vissuto tra la questione Covid e il lockdown, per loro l’aumento di stipendio non vale il rischio del disagio. Ne consegue un problema di perdita di risorse”, spiega Giannelli. A monitorare la situazione è anche Maddalena Gissi, segretaria della Cisl: “Da questo punto di vista potremmo avere problemi ma non c’è ancora un dato definitivo, che stiamo chiedendo al ministero”, dice. Per il segretario di Uil Scuola, Pino Turi, “questo succede perché quelle persone sono state assunte in maniera selvaggia. Non c’è una mobilità in grado di farli tornare a casa con le regole dell’ultimo concorso nazionale”. In tutta Italia va comunque affrontata la questione del nuovo anno scolastico su cui incombe lo spettro di una nuova ondata del virus, da combattere con la prevenzione. Presidi, prof, bidelli e personale di segreteria dovranno probabilmente sottoporsi in tutto il Paese ai test sierologici. “Sappiamo che il Cts lo propone e accogliamo tutto questo favorevolmente. Ma se si ritiene che sia una misura utile meglio eseguirli il prima possibile, magari anche prima dell’inizio scolastico. E sarebbe anche auspicabile fare i test ad un campione statisticamente significativo di alunni, che in tutto sono 8 milioni e mezzo”, commentano i dirigenti augurandosi anche l’introduzione del medico di scuola’, una figura che ebbe un ruolo chiave diversi decenni fa per le vaccinazioni. Stesse richieste anche da tutti i sindacati, che oltre ai ‘sierologici’ invocano i tamponi e il dottore per gli istituti. Su questo il segretario della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, pone una questione: “Chi si farà carico della gestione della situazione in caso di nuovi positivi? Bisogna introdurre quella professione per rafforzare un presidio sanitario che segua le scuole”.
Una figura che, secondo i sindacati, potrebbe essere recuperata grazie a risorse stanziate con i fondi del Mes, previste per la sanità indiretta.