Tonino Scala.
Il 4 marzo del 1973 in Cile, la coalizione socialista Unidad Popular, guidata da Salvador Allende, vince le elezioni. Pochi giorni dopo, so che c’entra poco, dall’8 al 10 di marzo, al Salone delle feste del Casinò di Sanremo, si svolgerà il ventitreesimo Festival di Sanremo condotto da Gabriella Farinon e Mike Bongiorno. Ma non è di questo che voglio parlarvi, o meglio, vorrei raccontarvi i mesi precedenti a quell’evento, parlo del Festival. Giuseppe Faiella in arte Peppino di Capri con Claudio Mattone e Ernest John Wright hanno scritto una musica. Una grande melodia adatta al Festival. Mancano le parole. Claudio Mattone è un giovane di Santa Maria a Vico in provincia di Caserta che, attratto dalla musica popolare, lascia il jazz, era un pianista, iscritto all’ultimo anno di Giurisprudenza, cominciò a comporre musiche e testi di canzoni. Il suo sodalizio con Franco Migliacci, autore di testi aveva negli anni precedenti al 1973 portato al successo già tre canzoni indelebili nella musica leggera Italiana: Ma che freddo fa per Nada, Ma chi se ne importa nel 1970 con la quale Gianni Morandi aveva vinto Canzonissima, Il cuore è uno zingaro per Iva Zanicchi e Nicola di Bari che vinse Sanremo nel 1971. “Peppì serve qualcosa di nuovo per questa musica. Una melodia che deve avere qualcosa di vissuto chiamiamo Franco Califano” dirà Mattone. “Ma sei sicuro?” Peppino di Capri aveva i suoi dubbi. Non sull’artista, Franco Califano si era già fatto conoscere come paroliere avendo scritto testi indelebili non solo nel Bel Paese. Nel 1965 insieme a Laura Zanin per Bruno Martino scrisse “E la chiamano estate scritta” e nel 1967 scrisse insieme a Nicola Salerno “La musica è finita” musicata da Umberto Bindi per Ornella Vanoni. Era già uscito nel 1972 il suo primo album “’N’bastardo venuto dar sud” un disco autobiografico, Franco Califano nacque per puro caso fra le poltroncine di un aereo che stava sorvolando i cieli fra la Libia e Johannesburg. Jolanda lo partorì nel cielo della Sirte, costringendo il pilota ad un atterraggio d’emergenza a Tripoli. Era figlio di un paganese e di una nocerina. Il suo sangue era una miscela dall’agro nocerino sarnese. “’N bastardo venuto dar sud” contiene il brano Semo gente de borgata, cantato da I Vianella. Fra le tante avventure giovanili del Califfo, rimarrà storica la sua fuga a piedi dal Collegio Sant’Andrea ad Amalfi fino a Pagani, senza le scarpe. Il Califfo, sin da piccolo, ha sempre dimostrato quello che sarà poi il trait d’union della sua intera vita: guardare al futuro senza mai curarsi del presente, se non per le belle donne ed il divertimento sfrenato. Franco Califano decise di iscriversi all’ITCG Ludovico Ariosto: dopo un periodo iniziale, il Califfo dovette passare al corso serale di ragioneria. Il motivo? Semplicemente non riusciva mai ad alzarsi la mattina, a causa della sua folle vita notturna trascorsa fra centinaia di locali e, soprattutto, di donne piacenti. Il suo nome finisce sempre più spesso sulle pagine dei giornali: la sua musica è di quel trash che a molti politicanti piace sempre meno, mentre il suo stile di vita è oramai diventato il simbolo del vizioso per eccellenza. Ed intanto, le sue storie d’amore proseguono senza sosta. Intorno a Califano cominciano a girare accuse molto pesanti, al punto che nello stesso anno del suo primo successo i carabinieri bussano alla sua porta e lo conducono in carcere, con l’accusa di traffico di stupefacenti. Ma gli arresti domiciliari non lo fermano: temprato da mille battaglie e da una vita condotta sempre sul filo, il Califfo si reinventa ed incide un nuovo disco all’interno della sua roulotte. Da qui la preoccupazione di Peppino di Capri: riuscirà a consegnare in tempo la canzone? Mattone, Peppino e Franco trovarono un accordo: quando rientri scrivi e metti sotto la porta della camera d’albergo il testo. Se l’alba per tutti è l’inizio del giorno, per Franco Califano è l’inizio della notte. Soffrirono Claudio e Peppino per ben quattro notti. Prendevano il testo dalla fessura sotto la porta lo leggevano e scrivevano: non va, non ci piace, è una merda… fa schifo. Poi la quinta mattina, notte per Franco che era tornato all’alba, il testo fu quello giusto. Lo portarono a Sanremo. La commissione bocciò tre grandi artisti, Ivano Fossati, Lucio Dalla e un giovanissimo Antonello Venditti, ma scelse “Un grande amore e niente più” che vinse davanti a Peppino Gagliardi che cantò “Come un ragazzino” e a Milva con “Da troppo tempo”. Al quarto posto si classificarono i Ricchi e Poveri con “Dolce frutto”. Un gruppo che si chiamava così grazie ad una intuizione di Califano: Siete ricchi di spirito e poveri di tasca… Ricchi e Poveri, vi chiamerete così. Sempre nel 1973 Franco Califano scriverà, insieme a Dario Baldan Bembo, Minuetto, canzone portata al successo da Mia Martini.