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Covid, un anno fa il primo caso a Wuhan: in documenti inediti le prove dei ritardi della Cina
CRONACA
1 dicembre 2020
Covid, un anno fa il primo caso a Wuhan: in documenti inediti le prove dei ritardi della Cina

Ha compiuto un anno la pandemia di Covid-19, che finora nel mondo ha provocato più di 63 milioni di casi e quasi un milione e mezzo di vittime. In Italia i casi sono stati complessivamente oltre 1,6 milioni e più di 55.000 le vittime. E’ stata la seconda pandemia del secolo, dopo quella di influenza del 2009, ed è stata provocata da un virus mai visto, la cui origine non è stata ancora chiarita. A infittire il mistero ci sono i documenti inediti ottenuti dalla Cnn, che ricostruiscono discrepanze e omissioni nelle informazioni diffuse dalle autorità cinesi all’inizio della pandemia. Il primo dicembre 2019 nella città cinese di Wuhan, nella provincia di Hubei, un uomo mostrava i sintomi di una polmonite anomala che soltanto il 24 gennaio 2020, sulla base di un’analisi retrospettiva, la rivista The Lancet individuava come il primo caso di una malattia che non aveva ancora un nome e per la quale non si riscontrava alcun legame epidemiologico. Era una malattia sconosciuta e i primi casi sembravano legati al mercato di animali vivi della città. Tuttavia non è stato ancora individuato l’animale nel quale il virus arrivato dai pipistrelli si è riassortito, dando origine a un nuovo virus capace di contagiare l’uomo. I casi si moltiplicavano e il primo a parlare apertamente di una nuova malattia era stato un giovane oftalmologo, Li Wenliang, il primo ad avvertire i colleghi della necessità di utilizzare protezioni e per questo convocato dalla polizia. Il 7 febbraio moriva dopo avere contratto il virus. In gennaio la Cina decideva di rendere pubbliche le sequenze genetiche del virus all’origine delle polmoniti: è stato un passo decisivo perché su quel materiale le grandi banche genetiche internazionali hanno fornito e continuano a fornire materiale a tutti i laboratori che nel mondo cercano di ottenere farmaci e vaccini. L’11 febbraio la malattia aveva il suo nome: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) decideva di chiamarla Covid-19, acronimo dall’inglese “Corona Virus Disease 2019”. Quello che fino ad allora era stato un nuovo coronavirus diventava il virus SarsCoV2. Se la condivisione dei dati genetici e di molte informazioni cliniche e scientifiche dalla Cina è stato un fatto positivo, i documenti della Cnn indicano che da parte delle autorità cinesi non c’è stata invece chiarezza sui numeri di casi e vittime. Il17 febbraio, per esempio, le autorità cinesi comunicavano 93 casi, mentre dai documenti risulta che i casi erano 193. Ancora prima, all’inizio di dicembre, si registrava un’impennata del 20% di casi di influenza rispetto alla stessa settimana del 2018. In quest’anno la ricerca ha subito un’accelerazione senza precedenti, così come la corsa al vaccino, ma secondo il direttore dell’Istituto farmacologico ‘Mario Negri’, Giuseppe Remuzzi, questa pandemia ha soprattutto “cambiato il nostro modo di rapportarci con le persone e continuerà a cambiarlo ancora, almeno per un paio di anni”. Tanto è, secondo Remuzzi, il tempo in cui dovremo ancora convivere con il virus SarsCoV2. “Il vaccino arriverà, ma non sarà subito per tutti, così come sarà difficile distribuirlo a tutto il mondo: se arriverà solo a chi è in grado di pagarlo non risolveremo il problema”. Di sicuro, secondo Remuzzi “cambierà il nostro modo di vivere insieme e questo anniversario potrebbe essere l’occasione per riflettere su quanto sia importante utilizzare le tre misure fondamentali della prevenzione: indossare la mascherina, lavare spesso le mani e mantenere una distanza di sicurezza”. Se il 95% delle persone le adottasse non avremmo bisogno di altre misure restrittive, ha dimostrato una ricerca recente. “Sono convinto – ha concluso – che la chiave per affrontare questa malattia è adottare le misure d prevenzione: dovremo cambiare le nostre abitudini e renderci conto che non siamo i padroni del mondo”.

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