NAPOLI – A Napoli i parcheggiatori abusivi pagavano una “tangente” a un clan per poter esercitare la loro attività: dall’alba è in corso una operazione dei carabinieri del comando provinciale di Napoli, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia della locale Procura, con diversi arresti nei quartieri partenopei. Numerose le estorsioni da parte del clan D’Ausilio ai danni di attività imprenditoriali e commerciali. Le indagini, condotte dai militari del nucleo investigativo del comando provinciale, hanno permesso inoltre di acquisire importanti elementi probatori in relazione ad una gestione “mafiosa” dei parcheggi abusivi in prossimità dei locali notturni nell’area flegrea. I parcheggiatori – in particolare – dovevano pagare una tangente di almeno 200 euro a settimana.
Figurano anche tre donne tra i destinatari delle misure cautelari emesse dal gip di Napoli su richiesta della DDA (pm Francesco De Falco e Gloria Sanseverino) notificate stamattina dai carabinieri del Comando Provinciale di Napoli a 15 presunti affiliati al clan D’Ausilio, e tutte avevano compiti delicatissimi. Concetta D’Alterio e Maria Poerio, per esempio, ricoprivano il ruolo di “ufficiali di collegamento” tra il figlio del capoclan latitante, Felice D’Ausilio (a cui era stato affidato la guida dell’organizzazione camorristica), e i suoi uomini. Erano loro, infatti, secondo gli investigatori, a recapitare i “pizzini” del figlio del capoclan attraverso i quali dettava i suoi ordini e riceveva informazioni dalla truppa. Non solo. Le due donne consegnavano il denaro necessario al ricercato. Maria Poerio, però, era l’unica ad essere incaricata di gestire le esigenze materiali e personali di Felice D’Ausilio. Per le due donne il gip di Napoli ha disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Grazia Sarnelli, invece, per la quale sono stati disposti gli arresti domiciliari, cognata di Felice in quanto moglie del fratello Antonio del latitante, raccoglieva gli “stipendi” destinati al ricercato e al marito, direttamente dalle mani degli affiliati, che li prelevavano dalla “cassa” del clan. Denaro, ovviamente, frutto delle attività illecite dell’organizzazione malavitosa.