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Torre del Greco, la vittima degli strozzini in lacrime: «Incubo lungo 10 anni, avevo perso la fiducia»
CRONACA
26 ottobre 2021
Torre del Greco, la vittima degli strozzini in lacrime: «Incubo lungo 10 anni, avevo perso la fiducia»
Alberto Dortucci

Torre del Greco. La goccia capace di convincere la fornaia finita nella rete delle donne-strozzine a rompere il silenzio e a denunciare il suo calvario cadde alla vigilia dell’Epifania del 2020. La vittima e la compagna erano in fila allo sportello bancomat dell’ufficio postale di via Monsignor Felice Romano. Erano le 21.30 e la strada era deserta finché – alle spalle della coppia – non sopraggiunse una Mercedes Classe A guidata da Colomba Cascone, l’erede del boss Zì Peppe massacrato in un agguato di camorra: «Preleva e consegnami i soldi, perché già sei in ritardo – l’ordine arrivato dalla monovolume -. Altrimenti, non passerai una Befana in grazia di Dio». L’usuraia ripartì poi a tutta velocità, lasciando la vittima in un profondo stato di agitazione.

Davanti alle richieste di spiegazioni della compagna – impiegata come cassiera in panetteria – in merito alla «sfuriata» di Colomba Cascone, la donna crollò in un pianto liberatorio. In lacrime, raccontò tutto alla compagna, pronta a invocare l’intervento delle forze dell’ordine: «è tutto inutile, già denunciai nel 2011: non è successo nulla», la prima reazione della fornaia. In effetti, l’inchiesta era stata archiviata perché scattata a distanza di anni dai fatti, con inevitabili difficoltà a incastrare i «cravattari».

«Avevo perso la fiducia e non volevo altre delusioni», l’ammissione della vittima. Ma, complici le insistenza della convivente, in pochi giorni la fornaia cambiò idea. E il 9 gennaio del 2020 si presentò in caserma alla guardia di finanza per raccontare il suo incubo. A distanza di due settimane, caratterizzate da una serie di intimidazioni ricevute via WhatsApp da un vecchio «strozzino» tornato alla carica dopo un periodo di detenzione in carcere, la fornaia ebbe la prima «risposta» dello Stato. L’uomo – incastrato proprio dai messaggi «inoltrati» dalla vittima agli uomini in divisa – venne arrestato con l’accusa di estorsione:  «E’ stata una luce nel buio, lì mi sono convinta di essere sulla strada giusta per scacciare definitivamente i miei fantasmi».

Così – davanti al pubblico ministero Matteo De Micheli della procura di Torre Annunziata – la fornaia-coraggio decise di vuotare il sacco, aprendo la strada all’inchiesta conclusa con l’arresto dei suoi aguzzini: «Conosco Colomba Cascone da anni perché è cliente del panificio, sapevo fosse moglie di un boss del clan Falanga e figlia di un camorrista ucciso in una faida – l’inizio del racconto agli investigatori – A marzo/aprile del 2019, iniziò a invitarmi insistentemente a casa sua per un caffè. Alla fine, decisi di accettare».

Fu l’inizio della fine. Una volta conquistata la «fiducia» della fornaia, la figlia di Zì Peppe tirò fuori la storia dei prestiti a strozzo del 2011: «Dopo qualche giorno – la denuncia della fornaia – mi disse che per farmi un favore aveva “acquistato” il mio debito di 10.000 euro da criminali che avrebbero voluto fare del male a me e alla mia compagnia. Mi disse poi che avrei potuto restituirle i soldi con calma in varie rate».

Così cominciò l’incubo: «Ho sempre pagato per paura. Lei mi ripeteva continuamente di stare attenta perché la mia famiglia è grande e io conoscevo i trascorsi criminali dei suoi parenti», l’ammissione della donna. Alla fine, tuttavia, pronta a ricostruire il suo nuovo incubo e a mettere nero su bianco una serie di accuse capaci di portare gli investigatori a smantellare la rete delle donne-strozzine guidata dalle parenti eccellenti di boss e killer di camorra.

@riproduzione riservata

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