C’è chi non è riuscito a contattare la Asl nel fine settimana, chi ha dovuto constatare che il tampone gratuito “subito” è una chimera, e chi si è scontato con il personale che si è rifiutato di sottoporsi al test, andando in quarantena e mandando in sofferenza la scuola: a 10 giorni dal nuovo protocollo, i presidi denunciano “grandi difficoltà” di applicazione, tanto che l’obiettivo niente Dad con un positivo in classe è rimasto in molti casi un auspicio. “Ci risultano diverse decine di classi a Roma in quarantena anche con un solo caso”, dice il presidente dell’Anp della Capitale Mario Rusconi.
Il protocollo redatto dai ministeri dell’Istruzione e della Salute è entrato in vigore l’8 novembre, prevede che dalle elementari alle superiori nel caso di un positivo in classe i contatti si sottopongano a un primo tampone, definito “T0”, se il risultato è negativo si potrà rientrare a scuola, andrà poi effettuato un nuovo screening dopo 5 giorni (T5); nel caso di due positivi i vaccinati o negativizzati negli ultimi sei mesi faranno la sorveglianza con testing, i non vaccinati la quarantena. Solo nel caso di tre positivi andrà in quarantena tutta la classe. Ma se c’è un intoppo nell’ingranaggio scatta la didattica a distanza. “Molto spesso – spiega il presidente nazionale dell’Anp Giannelli – capita che diverse Asl a una certa ora della giornata smettano di lavorare e nel fine settimane non ci si riesce a parlare. Così quella che dovrebbe essere una collaborazione di fatto ricade sulla scuola”. Cristina Costarelli, preside del liceo romano Newton, individua la falla: i protocolli sono “ingestibili da parte di scuole e famiglie” perché “sono stati immaginati in un momento inopportuno, con un calo di contagi, mentre oggi ci troviamo ad affrontare una nuova impennata. Faccio un esempio: quando c’è anche un solo positivo in classe, tutti i compagni devono fare due tamponi, uno subito e uno al quinto giorno. E le scuole devono raccogliere tutti questi dati, tra chi manda subito l’esito del test, chi il giorno dopo, chi non lo fa proprio… Fino a quando l’iter non termina, non si può tornare alla normalità”.
E infatti ci sono dei casi limite anche in altre regioni. Ad esempio, chi ha ricevuto la comunicazione ufficiale che le lezioni potevano riprendere solo dopo tre giorni dalla scoperta del positivo. E chi segnala che alunni o docenti si sono rifiutati di eseguire il T0. In questo caso il protocollo prevede che “i soggetti che non si attengono al programma di sorveglianza con testing devono effettuare la quarantena”. Con il risultato che la scuola “si svuota”. E c’è anche il nodo dell’automatismo: il passaggio dal “T0” al “T5” è “una zona d’ombra”, dice Salvina Gemmellaro, preside di un istituto superiore di Catania, perché un alunno potrebbe essere negativo al primo test ma poi positivizzarsi. Il ministro Patrizio Bianchi invita al realismo: “La parola Dad adesso è la peste, se non ci fosse stata l’alternativa sarebbe stata la chiusura, non la presenza”. “Dopo due mesi abbiamo delle situazioni difficili, però sotto controllo – afferma -, ma vedo che vi è la tendenza a dire che andrà tutto male, quando la risposta è stiamo lavorando perché vada bene”. “Questo Paese ha dimostrato che nella scuola il 95%” del personale ha scelto di vaccinarsi “come atto di responsabilità, gli alunni fra i 16 e i 19 anni lo sono per l’85% – sottolinea poi il ministro -.Se le autorità sanitarie europee e nazionali ci diranno che vaccinare i bambini è cosa buona e giusta, io credo che la scuola ancora una volta si assumerà le proprie responsabilità”.