Torre del Greco. Come ai tempi di Don Camillo e l’onorevole Peppone. Rischia di provocare un definitivo strappo tra comunità ecclesiastica e amministrazione comunale l’anatema lanciato da don Giosuè Lombardo – parroco della basilica di Santa Croce, la chiesa madre di Torre del Greco – alla vigilia del voto sulla mozione di sfiducia al sindaco Giovanni Palomba: «Lo sporco esteriore è il segno di una sporcizia interiore morale» aveva tuonato il sacerdote durante la messa dedicata all’intercessione di San Vincenzo Romano per gli infermi contro tutta la classe politica di palazzo Baronale.
«Vorrei sapere se provano vergogna nel guardare i loro figli costretti a vivere in una città-letamaio», aveva poi rincarato la dose. Un atto d’accusa – riferito, in particolare, alla cronica emergenza rifiuti all’ombra del Vesuvio – capace di spaccare in due, anziché unire, la città.
Proprio come ai tempi di Don Camillo e l’onorevole Peppone, la storica pellicola del dopo-guerra. Con una sostanziale differenza: l’anatema di don Giosué Lombardo – in passato già entrato in rotta di collisione con l’ex sindaco Ciro Borriello – era arrivato proprio al termine della settimana in cui la basilica di Santa Croce aveva incassato dal Comune la bellezza di 11.000 euro e spiccioli per l’ultima festa dell’Immacolata. Una festa in tono minore a causa della pandemia eppure ugualmente onerosa per l’ente di palazzo Baronale guidato dagli amministratori con la «coscienza sporca».
Al punto da non contestare le evidenti discrepanze tra il preventivo di spese per un totale di 12.000 euro firmato dallo stesso don Giosué Lombardo a metà novembre e il rendiconto dei costi sostenuti dalla parrocchia per 15.983 euro (con voci e cifre diverse dalla richiesta).
Un dettaglio sotto-lineato tra i corridoi del Comune, così come i finan-ziamenti per le attività oratoriali e la recente riqualificazione della piazzetta a ridosso della basilica di Santa Croce, particolarmente gradita al «parroco-politico».
La cui «uscita pubblica» ora rischia di dividere ulteriormente una comunità già esasperata da una crisi senza precedenti e di segnare uno strappo definitivo tra Chiesa e politica. D’altronde, un vecchio adagio – tornato di stretta attualità in municipio – recita testualmente «Dicette ‘o prevete: fa’ chello ca dico io, ma nun fa’ chello ca facc’io».
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