Era gestita da detenuti ma erano coinvolti anche agenti della polizia penitenziaria la piazza di spaccio scoperta nel carcere di Secondigliano: all’alba di oggi i Carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli, in collaborazione con il Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, stanno dando esecuzione a un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale emessa dal Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di oltre 20 persone. Le accuse contestate sono, a vario titolo, associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e corruzione per commettere atti contrari ai doveri d’ufficio.
Ci sono moltissimi elementi di spicco della criminalità organizzata, come Antonio Napoletano, detto “o’ nannone”, il giovanissimo baby boss del clan Sibillo, attualmente detenuto a Fossombrone, tra i destinatari delle misure cautelari notificate oggi dai Carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli, in collaborazione con il Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria. Complessivamente le forze dell’ordine, coordinati dalla DDA, hanno notificato 26 misure cautelari, nell’ambito di indagini che hanno consentito di scoprire l’esistenza di una piazza di spaccio nel carcere napoletano di Secondigliano.
Oltre a Napoletano, poi, ci sono anche esponenti della criminalità organizza del quartiere Soccavo di Napoli, come i cugini Alfredo Vigilia Junior (detenuto nel carcere di Tolmezzo), 28 anni, e Pasquale Vigilia (detenuto a Cosenza), 34 anni. Le persone raggiunte dalle misure cautelari che non erano detenute sono Luisa di Fusco (ritenuta appartenente al clan vigilia di Soccavo); Eduardo Fabricino (ritenuto appartenente al clan Abbinante); Angelo Marasco e Giuseppe Mazziotti (ritenuti appartenenti clan Vigilia); Marco Molinaro (ritenuto appartenente clan Giffoni-Noschese di Battipaglia); Salvatore Ottaviano (ritenuto appartenente al clan Fusco di Cercola); Ciro Quindici (ritenuto appartenente al clan Mazzarella); Salvatore Scotti (ritenuto appartenente al clan Vigilia).
Tra i detenuti ‘colpiti’ da misura cautelare invece risultano Antonio Autore (ritenuto appartenente al clan De Micco); Salvatore Basile (ritenuto appartenente clan Puccinelli del rione Traiano di Napoli); Eugenio D’Atri (ritenuto appartenente al un gruppo criminale dei paesi vesuviani); Cristian Monaco (ritenuto appartenente al clan Vigilia); Pasquale Nasti (ritenuto appartenente al clan del Prete); Raffaele Riccio (ritenuto appartenente al clan Sibillo); Gennaro Ruggiero (ritenuto appartenente al clan Lo Russo); Raffaele Valda (ritenuto appartenente clan Amodio-Abrunzo); Fabio Crocella (ritenuto appartenente al clan Mazzarella); Michele Elia (ritenuto appartenente al clan Elia). Ai domiciliari è invece finita Patrizia D’Angelo, con l’accusa di avere corrotto un pubblico ufficiale per indurlo a commettere atti contrari doveri d’ufficio.
Droga e telefoni con mazzette a 4 agenti
Sono quattro gli agenti della Polizia Penitenziaria arrestati oggi che, secondo gli inquirenti, si sarebbero fatti corrompere per consentire l’introduzione dello stupefacente, di cellulari e anche per favorire lo spostamento dei detenuti all’interno della struttura carceraria anche agevolando la sistemazione di appartenenti al medesimo sodalizio nelle stesse celle. Per un agente, attualmente in pensione ma in servizio all’epoca dei fatti contestati, il gip di Napoli ha disposto il carcere mentre agli altri tre sono stati notificati gli arresti domiciliari.
Si tratta di Salvatore Mavilla, 59 anni (in carcere) e di Salvatore, Mario Fabozzi, 55 anni, Francesco Gigante, 58 anni e Giuseppe Tucci, 47 anni, gli ultimi tre tutti ai domiciliari. Gli arresti eseguiti dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli e dal Nucleo Investigativo Centrale del Corpo della Polizia Penitenziaria sono complessivamente 26, tra Napoli, Frosinone e Salerno nonché presso le Case Circondariali di Napoli, Campobasso, Cosenza, Fossombrone (Pesaro e Urbino), Spoleto (Pescara), Voghera (Pavia), Saluzzo (Cuneo), Tolmezzo (Udine) e Trapani. Tra le quattro persone per le quali il gip di Napoli ha disposto i domiciliari figurano tre agenti della Penitenziaria. L’indagine, coordinata dai sostituti procuratori antimafia Luigi Landolfi e Simona Rossi, ha permesso di raccogliere plurime fonti di prova, anche a riscontro delle dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia, circa l’esistenza di una piazza di spaccio all’interno della Casa Circondariale di Napoli – Secondigliano, gestita da detenuti mediante il commercio di sostanze stupefacenti di vario tipo (cocaina, hashish e marijuana) introdotte nell’istituto penitenziario.
Il pentito: alla guardia 500 euro a carico
C’era un fiorente traffico, non solo di droga, ma anche di cellulari, orologi, profumi, cibi pregiati e lettori Mp3, grazie agli agenti della Penitenziaria indagati, nel carcere di Secondigliano. A rivelarlo agli inquirenti è un collaboratore di giustizia, Ciro Niglio. Per ogni carico che entrava in carcere “la guardia riceveva 500 euro”. Emerge dall’ordinanza di custodia cautelare con la quale il gip di Napoli Isabella Iaselli, ha disposto 28 misure cautelari nell’ambito di un’indagine dei carabinieri e della stessa polizia penitenziaria, coordinata dalla DDA di Napoli, che ha consentito di scoprire l’esistenza nel carcere napoletano di una fiorente piazza di spaccio. Sempre secondo il collaboratore di giustizia, inoltre, lo stesso metodo veniva utilizzato anche per trasmettere o ricevere messaggi per e dagli affiliati in libertà. I servigi di un appuntato, Antonio Napoletano, detto “o’ ninnone”, baby boss del clan Sibillo, se li accaparrò facendogli un favore: fu proprio l’agente a rivolversi a lui. Gli chiese di intercedere affinché “gli uomini di san Gaetano” (piazza nel cuore di Napoli dove il clan Sibillo fa i suoi affari illeciti, ndr) convincessero suo figlio (dell’appuntato, ndr) a non vendere più la droga nel rione. Il patto fu onorato e pagato con una “stecca di fumo (di droga, ndr) e da quel momento sia Niglio che Napoletano utilizzarono l’appuntato Luigi per far entrare oggetti in carcere: la consegna avveniva sempre durante il turno di mezzanotte e l’appuntato nascondeva gli oggetti nel giubbino della sua divisa.
Anche Ciro Contini, nipote del boss Eduardo, dopo l’arresto per possesso di armi, si è servito dello stesso appuntato, sempre secondo il “pentito”, per far entrare la droga. Si trattava di panetti di hashish, già tagliati in dosi, da 250 grammi. Particolarmente ingegnoso era il modo di venderla: l’hashish (procurata dal fratello di Napoletano, quindi dal clan Sibillo, ndr) veniva infilato in più preservativi e poi in palloncini di plastica i quali, a loro volta, venivano introdotti nelle bottiglie di bagnoschiuma “Vidal” di colore nero, uguali a quelle che venivano vendute nello spaccio del carcere. Il fratello di Napoletano le consegnava all’appuntato che, sempre attraverso il turno di mezzanotte, le recapitava nascondendole nelle maniche del giubbotto di ordinanza. L’agente Luigi, sempre in virtù del favore ricevuto, non prendeva soldi per questa collaborazione. Ogni tanto, Ciro Contini, gli regalava cinquecento o mille euro. Quando scoppiò la faida della cosiddetta “paranza dei bambini” ( e quindi la scissione delle famiglie Sibillo, Contini e Amirante dal clan Rinaldi), l’appuntato procurò a Ciro Contini e ad Antonio Napoletano, un telefono cellulare con 4-5 sim “pulite” che hanno consentito ai due di comunicare con le rispettive famiglie.