Napoli. La confisca dei beni e il loro riutilizzo rappresentano una sfida fondamentale nella guerra alla camorra. Soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, la sottrazione dei patrimoni a boss e gregari rappresenta l’arma più incisiva per togliere “benzina” alle macchine della criminalità abili a reinvestire soldi sporchi nell’economia.
Ma è anche un tema delicato che va affrontato con attenzione, dal momento che sempre più spesso il sistema si inceppa nei meandri della burocrazia o, peggio ancora, nelle pieghe della malagestione.
Non è un caso che la gestione dei beni confiscati alla camorra sia stato un capitolo delicato delle due relazioni prefettizie che hanno convinto il consiglio dei ministri a sciogliere una dopo l’altra le amministrazioni comunali di Castellammare di Stabia e Torre Annunziata. In entrambi i casi i Palazzi non hanno dato seguito ai proclami e in qualche caso hanno quasi vanificato il lavoro imponente di forze dell’ordine e magistratura.
E’ per questo che Metropolis propone una riflessione pubblica che si terrà nella sala consiliare del Comune di Pompei il prossimo 20 luglio (ore 10). Il primo momento di confronto in quell’Agorà che il nostro quotidiano ha voluto aprire in vista dell’inizio del suo trentesimo anno di pubblicazioni.
Un dibattito al quale parteciperanno anche don Tonino Palmese, presidente della fondazione Pol.i.s., don Luigi Merola, Nello Tuorto, presidente dell’associazione antiracket e antiusura Finetica, Gennaro Pino, colonnello della Guardia di Finanza a capo del comando Gruppo di Torre Annunziata, e Daniela Lombardi, dirigente della sede Campana dell’agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Alle amministrazioni comunali del centrosud sono stati destinati poco più di 4400 beni confiscati. Il dato che fa riflettere, in questo senso, è che poco più di duemila si trovano nella sola provincia di Napoli. Appare evidente, dunque, che se da un lato questo dato testimonia come in questa terra lo strapotere dei clan sia una piovra che occupa diversi settori della società e dell’economia, dall’altro riuscire a liberare queste risorse per farle tornare ad essere integrate nel sistema economico legale potrebbe cambiarne anche le sorti del futuro economico. Di questi numeri, però, va anche considerato che su 4.400 sono solo 3mila quelle assegnate a cooperative, alle amministrazioni comunali. Segno evidente che c’è ancora molta strada da fare per il futuro.
Qualche mese fa Libera Campania e Fondazione Polis hanno elaborato uno studio per capire il complesso mondo dei beni confiscati.
Nell’indagine che è stata promossa si trova anche un’analisi attenta delle realtà sociali che vengono definite pratiche di riutilizzo, una prima ricerca sperimentale che va in continuità con BeneItalia promossa da Libera e Fondazione Charlemagne Italiana onlus su tutto il territorio nazionale.
Entrambi i lavori hanno avuto come intuizione quella di fotografare la situazione dei beni confiscati già riutilizzati, la concretezza della restituzione del maltolto attraverso il riutilizzo sociale.
«I beni confiscati come opportunità di sviluppo» è il titolo scelto per l’indagine svolta in Campania perché i risultati sono straordinari: 78 pratiche di riutilizzo censite su tutto il territorio regionale che in media occupano 5 persone, su cui operano mediamente 15 volontari e 16.541 beneficiari complessivamente. Numeri importanti che possono essere moltiplicati, che sono ancora parziali perché c’è la necessità di un continuo monitoraggio e ricerca per censire tutte le realtà che operano sui beni confiscati.
Diverse sono le esperienze e le attività che si svolgono sui beni confiscati nella regione Campania: associazio- ni, cooperative, fondazioni, enti pubblici e morali che riutilizzano per scopi sociali i beni confiscati restituendoli al territorio e accogliendo il disagio sociale per eliminare barriere, creare autonomia, promuovere inclusione sociale e territoriale.