Napoli. Sarà una vera e propria battaglia per conquistare un posto al sole nel listino bloccato. Perché su input dei Cinque Stelle i seggi, rispetto alle Politiche 2018, sono diminuiti.
E di molto. Dagli 89 di cinque anni fa ai 56 delle prossime elezioni (38 per la Camera dei deputati e 18 per il Senato).
In parole povere: ci saranno collegi molto più ampi del solito e sarà praticamente scontato che, con “meno spazi”, i big dovranno presumibilmente sfidarsi faccia a faccia in una lotta all’ultimo voto per ottenere la poltrona in Parlamento.
Insomma: una grande corsa che vedrà papabili e auto candidati cercare di convincere i leader di partito ad ottenere la certezza del listino bloccato dove il seggio è assicurato per il calcolo proporzionale previsto dalla legge.
Tutto ciò è frutto dell’ossessione per i tagli portati avanti dal M5S che è riuscito nell’impresa sì di intestarsi la battaglia per la sensibile riduzione dei parlamentari, senza però portare avanti un serio progetto di nuova legge elettorale nonostante sia stato sempre al governo in tutte le salse, in tutte le forme e (quasi) con tutto l’arco costituzionale.
Insomma: miopia politica che adesso rischia di divenire un boomerang per i grillini che sono ben lontani dall’exploit del 2018 quando fecero il boom un po’ ovunque, specie al Sud.
Basti pensare a ciò che avvenne in Campania quando De Luca junior fu sconfitto dai pentastellati e fu eletto grazie all’ancora di salvezza del listino di Caserta.
Visto che i seggi sono sensibilmente ridotti rispetto all’ultima tornata elettorale, il risultato è che saranno accorpati numerosi collegi e ciò andrà a sconvolgere le strategie dei partiti.
Dai 33 collegi uninominali tra Senato e Camera più 9 plurinominali in Campania, ora saranno rispettivamente 21 e sei. Per quanto riguarda Napoli e provincia, sette uninominali alla Camera e quattro al Senato.
In pratica, saranno due Camere inedite, dimagrite di circa il 30 per cento dei parlamentari, quelle che si riuniranno a fine ottobre dopo il passaggio delle urne.
La riforma costituzionale varata nel 2020 ha infatti ridotto dai 630 ai 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 quello dei senatori eletti, ai quali si aggiungeranno i cinque senatori a vita. Una situazione inedita con degli interrogativi sull’attività parlamentare. Mentre la sforbiciata risolverà gli atavici problemi di spazi di lavoro per i parlamentari e i gruppi, ci si interroga sulla funzionalità degli organismi, specie per il Senato.
La prossima settimana l’Aula di Palazzo Madama ridurrà il numero delle Commissioni permanenti da 14 a 10 accorpandone alcune (Esteri e Difesa, Ambiente e Lavori Pubblici, Industria e Agricoltura, Lavoro e Sanità). Tuttavia i gruppi medio-piccoli avranno uno o due senatori in ciascuna commissione, il che impedirà una loro specializzazione e imporrà un maggior ricorso ai tecnici esterni e ai legislativi dei ministeri.
L’altro problema riguarda le Commissioni e gli Organi Bicamerali, come Copasir, Vigilanza Rai, Antimafia. Queste, per fare un esempio, dovranno evitare di riunirsi nel primo pomeriggio (quando non ci sono i lavori delle due Aule) in concomitanza con le Commissioni permanenti di Camera e Senato, pena il rischio di far mancare il numero legale nelle une o nelle altre. Per le Bicamerali in arrivo convocazioni all’alba o al tramonto.
Per la Camera non ci sono questi problemi mentre per i giornalisti sarà più semplice memorizzare i nomi e i volti di 600 eletti rispetto a 915.