Nella coda estiva di un’estate anonima, come tante altre, ho raccolto l’invito dell’amica Annarita Patriarca, deputato di Forza Italia, che ha organizzato, nella più ampia e lodevole iniziativa promossa dal suo partito, la visita alla casa di reclusione di Poggioreale, per verificare de visu l’allarmante situazione in cui versano i detenuti (anche alla luce dell’intollerabile numero di suicidi avvenuti nelle carceri italiane, sino ad oggi 64) . Il viaggio nel girone dantesco dei reclusi è iniziato alle 10 del mattino, assistiti dalla presenza, sempre preziosa, del garante dei detenuti, dott. Ciambriello e scortati da una delegazione del penitenziario, guidata dal vicedirettore e da alcuni suoi collaboratori. A piccoli passi ci siamo inoltrati negli androni ricolmi di occhi curiosi nei quali il disagio, oltre che raccontato, si appiccicava addosso come le nostre camicie bagnate di sudore, per un caldo che si fa fatica a raccontare. Uno dopo l’altro, i nostri sguardi hanno incrociato i visi smagriti e pallidi, entrando nelle stanze in cui i finestroni, possentemente sbarrati, erano coperti da letti a castello che raggiungevano altezze imbarazzanti. Nove in una stanza. Non sembra neppure possibile, eppure quelle brande erano lì a dirci questo, a raccontarci che per queste persone non esiste più alcuna sfera privata di cui essere geloso: si sconta oramai una pena generale, collettiva, in cui il singolo è completamente annullato. Nel percorso intermezzato da cancelli e scale, abbiamo udito frammenti di parole pronunciate in fretta che ci risuonano ancora nella mente, disordinate e lontane come un lungo racconto fatto di versi differenti che magicamente, però, si sono ricomposti in un coro chiaro, forte, inesorabile, come un ritornello che non riesci a levarti dalla testa: vogliamo indietro la nostra dignità. I passi lenti con cui ci muovevamo scandivano un tempo fermo, giocato tutto sull’attesa di notizie nuove, nuove leggi capaci di porre rimedio a quel male inaccettabile. Le domande timide restavano sospese nell’aria, ferme, senza risposte degne di quelle attese. I corridoi, verso l’uscita, si infittivano di anime perse, tutte con la loro storia da maledire, condita da avvocati troppo arrendevoli e da giudici colpevolmente distratti e pigri. Abbiamo di che dolerci, tutti. Nel frenetico ripetersi di gesti ordinari, il rumore dei chiavistelli nei cancelli ci ha accompagnato in corridoi lunghi e tristi come quelle ore, che adesso non possiamo più dimenticare. Alle ultime porte, si ripensa a tutto e ti assale dal nulla il ricordo dei i tanti volti che non hai visto perché assopiti nel sonno di chi non ha avuto neppure la forza di alzarsi dalla branda, stufo di credere, di sperare. Ora siamo fuori, noi. Tra i vivi ai quali raccontare cosa c’è lì giù, nelle segrete della nostra coscienza, dove abbiamo lasciato marcire i colpevoli, insieme alle loro colpe e gli innocenti con le loro preghiere. Rieducare, ora è una parola vuota; senza senso. Oggi, qui, abbiamo veramente perso tutti. Nessuno escluso.
Renato D’Antuono
Presidente Camera Penale
Trib. Torre Annunziata