Un camorrista bambino. Un boss a 14 anni. La storia del ragazzo votato al crimine fermato a Napoli assieme al suo complice di 16 anni, è purtroppo un caso emblematico che rispecchia tante altre storie che prendono forma tra Napoli e la sua provincia. Una storia che fa riflettere, davanti alla quale ci si interroga sull’efficacia dei progetti di prevenzione andati in fumo insieme ai buoni propositi. Boss a 14 anni. E forse già nel mirino di un clan rivale.
Lo scorso 21 luglio sarebbe entrato in azione con l’amico 16enne, nel frattempo arrestato per altri fatti, in sella ad uno scooter risultato rubato. Avrebbe fatto fuoco contro un 20enne, colpendolo all’addome. Ha premuto il grilletto per uccidere. Il provvedimento di fermo potrebbe addirittura essere servito a salvargli la vita. Sua madre temeva per la sua vita, e per questo si è rivolta alla Questura.
Il babyboss è minuto, sembra addirittura più piccolo dei suoi anni eppure è descritto come spregiudicato, feroce e senza controllo. La sua indole criminale sta in un messaggio whatsapp inviato alla madre, colpevole, a suo dire, di avere aiutato le guardie a trovarlo. E’ una storia che si intreccia con ‘stese’ e ferimenti, quella del babyboss.
Sul braccio, così come l’amico complice, si è tatuato due lettere, una “effe” e una “emme”. Sarebbero loro i ragazzini ritratti nell’immagine che nei giorni scorsi è stata inviata a tutte le pattuglie allegata ad un audio che metteva in allerta le forze dell’ordine. «Sono pericolosi e sono armati, e hanno giurato di voler sparare a vista sulle pattuglie». Tra i tanti episodi al vaglio degli investigatori anche un accoltellamento in un locale di Ibiza dove il babyboss ha trascorso qualche giorno ad agosto.