«Bisogna di capire, nonostante le competenze diffuse e le eccellenze del territorio, per quale motivo non si arresta il flusso di giovani che lascia Napoli». Con questa riflessione il presidente dell’Acen, Angelo Lancellotti, apre i lavori de “La città intelligente”, progetto col quale l’Acen intende contribuire allo sviluppo economico e sociale dell’area metropolitana di Napoli. «Mettendo a sistema una serie di dati, emerge un territorio fertile, con punte altissime nell’export di alta tecnologia, nell’agroalimentare e nell’automotive».
Eppure, a 800 anni dalla nascita della Federico II Napoli detiene la leadership in molte aree del sapere, con circa 3.800 laureati l’anno negli atenei napoletani e circa 20.000 immatricolati l’anno (19.748 nel 2023). «Proviamo – dice il professore Francesco Izzo, coordinatore del progetto Nea-polis – a esplorare le condizioni per rafforzare l’ecosistema dell’innovazione, consolidare le relazioni tra il mondo della ricerca e il sistema delle imprese, per attrarre nuovi investimenti e trattenere i giovani che desiderano restare a Napoli, offrendo loro opportunità coerenti con i percorsi compiuti». L’unica soluzione è «favorire il fenomeno dei “cervelli di ritorno”, assicurando a giovani ricercatori che rientrano dall’estero un ambiente più dinamico, in una città proiettata verso il futuro», dice Gabriella Minchiotti, dirigente di ricerca del Cnr.
E per migliorare la relazione fra ricerca e imprese, «servirebbe ridurre gli ostacoli per le startup e le aziende che vogliono investire in innovazione e assicurare certezza nei tempi dell’erogazione di fondi nazionali e regionali». Gabriella Colucci, ricercatrice e ceo di Arterra Bioscence e Vitalab, che è rientrata a Napoli dalla California, sottolinea «le condizioni umane e ambientali insostituibili” del territorio e l’appassionato lavoro per costruire “un’impresa trasparente e quotata in Borsa», binomio grazie al quale è riuscita a far tornare molti ricercatori dall’Inghilterra, in «un’azienda che ha accompagnato la nascita di 45 bambini».
Per Giorgio Ventre, direttore scientifico dell’Apple Academy e docente alla Federico II, «il problema è fare innovazione con un modello di open innovation. La Campania è la seconda regione italiana per start up innovative, ma manca il mercato. Dovremmo copiare Macron che in Francia finanzia start up e impone alle imprese di acquistare innovazione. A partire dalla grande impresa». Fabio De Felice, fondatore di Protom e docente all’Università Parthenope, parla di era del dataismo: «i dati sono diventati il linguaggio universale che definisce la nuova realtà, influenzando economia, cultura e dinamiche sociali. Il rischio è che cresca il divario tra chi ha competenze e accesso alle tecnologie e chi, invece, ne rimane escluso».
Per ridurre queste distanze sono al lavoro molte spin-off del Dipartimento di Ingegneria industriale della Federico II. Edoardo Giaquinto è oggi marketing manager di Vesevo e MegaRide, start up di successo ancorata a Bagnoli, nell’incubatore di Campania NewSteel. «Creare startup significa partorire idee, produrre innovazione, e piantare un seme. L’innovazione, però non è una scintilla, l’idea non è altro che il punto di partenza del processo che ha l’obiettivo finale di creare valore. Oggi dobbiamo puntare a creare progettualità, farla nascere dalle menti di giovani all’interno delle aule e dei laboratori universitari, per dare slancio a cicli virtuosi».