Il rischio che l’influenza aviaria provocata dal virus H5N1 si diffonda all’uomo resta basso, nonostante i diversi casi registrati nell’ultimo anno: lo affermano gli esperti degli statunitensi National Institutes of Health, che hanno pubblicato un articolo sul New England Journal of Medicine. Secondo Jeanne Marrazzo, direttrice dell’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive (Niaid) dei Nih, e Michael Ison, a capo del dipartimento delle malattie respiratorie del Niaid, i trattamenti e i vaccini disponibili, così come quelli in fase di sviluppo, sono sufficienti a prevenire le forme gravi della malattia, anche se è importante continuare un attento monitoraggio del virus e delle sue mutazioni. Identificata per la prima volta in Italia più di un secolo fa, nel 2024 l’influenza aviaria ha raggiunto anche l’Antartide. Nell’ultimo anno ci sono stati 66 casi confermati e 7 probabili solo negli Stati Uniti, e uno più grave in Canada, causati sia dalla variante del virus circolante tra gli uccelli sia da quella che si è invece diffusa tra il bestiame. In questo contesto, Marrazzo e Ison affermano che per controllare l’epidemia bisogna concentrarsi su quattro punti chiave. Il primo si basa sulla tempestiva collaborazione tra i ricercatori nel campo della medicina umana e veterinaria, gli operatori della sanità pubblica e coloro che lavorano negli allevamenti animali, mentre il secondo riguarda il paziente canadese, che ha sviluppato una grave insufficienza respiratoria: le mutazioni trovate nel virus che lo ha infettato evidenziano la necessità di una continua sorveglianza. Gli ultimi due punti, infine, riguardano l’importanza di continuare a sviluppare e testare nuovi vaccini e terapie, e di proteggere maggiormente chi lavora a stretto contatto con pollame e bestiame. I due esperti ritengono che ciò aiuterà a rispondere più rapidamente alle molte domande rimaste su come il virus H5N1 sta evolvendo e su come si sta diffondendo. “Il caso di influenza aviaria in un adolescente in Canada è impressionante”. Parola dell’infettivologo Matteo Bassetti, che commentando il caso della 13enne colpita da malattia grave nella British Columbia lo scorso novembre, illustrato in un report sulla rivista ‘New England Journal of Medicine’, sottolinea come per salvarla sia stato necessario usare “Ecmo”, macchina cuore-polmoni, “dialisi continua e un cocktail di antivirali. La considerazione – conclude il direttore di Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova – è che la maggioranza degli ospedali di tutto il mondo non hanno questi strumenti di cura”. Un altro aspetto evidenziato nel report è che il monitoraggio condotto ha indicato livelli virali più elevati nel tratto respiratorio inferiore. Gli esperti hanno anche analizzato il virus dell’influenza A(H5N1) coltivato da campioni respiratori ottenuti dalla paziente tra l’8 e il 12 novembre. Risultato: non è stata osservata evidenza di ridotta suscettibilità a nessuno dei 3 agenti antivirali utilizzati nel trattamento e lo stato respiratorio della paziente è migliorato, fino all’estubazione il 28 novembre. La sequenza del genoma virale ottenuta da un campione di aspirato tracheale raccolto il 9 novembre (8 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi) mostra che si è trattato di un virus del clade 2.3.4.4b, genotipo D1.1, 4, “il più strettamente correlato ai virus rilevati negli uccelli selvatici nella Columbia Britannica nello stesso periodo”. Nel report viene ribadito che sono stati rilevati marcatori di adattamento all’uomo”, delle mutazioni che sono osservate speciali perché l’effetto possibile è che sia facilitato l’ingresso virale nelle cellule del tratto respiratorio umano.
CRONACA
4 gennaio 2025
Influenza aviaria, l’incubo diffusione anche nell’uomo