L’11 maggio del 1860 segna un evento che ha cambiato la storia d’Italia. Con il celebre sbarco a Marsala, Giuseppe Garibaldi e i suoi Mille hanno avviato la conquista del Regno delle Due Sicilie, un’azione che sarebbe culminata nella nascita del Regno d’Italia. Ma, se da un lato questo rappresentava un sogno di liberazione per molti, dall’altro inizia un capitolo complesso e doloroso per il Mezzogiorno.
Perché, allora, quel sogno di unificazione, che doveva portare la prosperità, ha lasciato il Sud più povero, più isolato e più fragile rispetto al resto d’Italia? E perché, nonostante le innumerevoli opportunità di riscatto, il Sud è rimasto in fondo alla classifica economica e sociale del Paese?
Il Regno delle Due Sicilie, pur caratterizzato da molte difficoltà, era tutt’altro che arretrato. Un sistema giuridico all’avanguardia, una tradizione culturale solida e un’economia che, sebbene principalmente agricola, aveva radici in un’industria emergente.
L’arrivo di Garibaldi, purtroppo, non ha solo “liberato” il Sud, ma ha imposto una unificazione politica e fiscale che ha penalizzato la sua economia tradizionale.
Il nuovo Stato italiano, sotto la spinta della centralizzazione sabauda, ha scelto di favorire il Nord già industrializzato, un Nord che, seppur fertile di risorse e potenziale, ha vissuto il processo di unificazione come una rivoluzione da cui trarre vantaggio. Il Sud, invece, è stato abbandonato a sé stesso, con politiche fiscali che lo penalizzavano, e senza un adeguato supporto per favorire la sua modernizzazione.
Nel corso degli anni, il Sud ha visto crescere un imponente fenomeno di emigrazione, che ha svuotato interi paesi e lasciato il territorio privato della sua forza lavoro migliore. E quando, negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, si sono tentate politiche di sviluppo, come la Cassa per il Mezzogiorno, i risultati sono stati disastrosi, spesso caratterizzati da inefficienza, corruzione e sprechi.Ma nonostante queste difficoltà, il Sud ha sempre avuto opportunità di riscatto. Nel periodo del boom economico, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, sembrava che il Sud potesse davvero approfittare delle possibilità di sviluppo.
Purtroppo, la scarsa capacità di pianificare e un sistema clientelare che spesso ha ignorato le vere necessità locali hanno impedito un reale cambiamento.
Eppure oggi, nel XXI secolo, sembra esserci una nuova opportunità. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha dedicato ben il 40% delle risorse al Mezzogiorno, un segno di attenzione che non può più essere ignorato. Le infrastrutture sono in via di miglioramento, e le zone economiche speciali (ZES) possono costituire il motore di una nuova industrializzazione, questa volta sostenibile e proiettata verso il futuro.L’importante è che il Sud smetta di essere visto come una “periferia” da risolvere, e inizi ad essere considerato come una risorsa fondamentale per il Paese.
Le energie rinnovabili, l’economia blu legata al mare, le infrastrutture digitali: questi sono i campi in cui il Sud può brillare, mettendo al servizio dell’Italia le sue ricchezze naturali e culturali.Ma per farlo, è necessario un impegno corale e una strategia lungimirante. Il Sud ha bisogno di un sistema educativo che formi i talenti locali, di un sistema giudiziario efficiente, di politiche che favoriscano l’innovazione e la ricerca, e di investimenti che non si fermino alle solite opere incompiute o ai contratti pubblici.
La corruzione, ancora oggi radicata in alcune aree, è un cancro che impedisce qualsiasi sviluppo duraturo e impedisce al Sud di emergere.
Non possiamo più permetterci di parlare di un “Sud arretrato” come un dato immutabile. La questione meridionale non è un problema solo del Sud, ma dell’Italia intera. Il Mezzogiorno è un’opportunità di crescita, non una zavorra. È un motore di sviluppo potenziale che, se ben alimentato, potrebbe portare benefici a tutto il Paese. Ecco perché l’unità d’Italia non può essere considerata completa finché non sarà compiuto il riscatto del Sud.
Solo quando le disuguaglianze territoriali saranno davvero eliminate, l’Italia potrà guardare al futuro come una nazione coesa, forte e prospera.La storia del Sud non può più essere quella di una vittima del destino. Il Sud ha la forza, la cultura, e le risorse per fare la differenza, ma serve un salto di qualità nelle politiche pubbliche, una visione di futuro che metta al centro del progetto nazionale il riscatto di questo territorio.
Il futuro è nelle nostre mani. E questa volta non possiamo permetterci di fallire.