Miguel Pérez Cuesta, conosciuto come Michu, torna a giocare a calcio in quarta divisione spagnola con l’Oviedo. Comincia la sua seconda vita:
“Se vuoi recuperare la condizione fisica e psicologica dopo un lungo periodo di inattività la cosa importante è tornare sul campo – ha dichiarato il calciatore nell’itervista esclusiva rilasciata a “L’Ultimo uomo” -. Ero arrivato a un punto di non ritorno e credo per ricominciare non avrei potuto avere un’opportunità migliore di questa. Qui ho l’affetto della gente del paese e anche dei miei concittadini a Oviedo.
Aston Villa? Avevo le idee molto chiare sul mio futuro a breve termine. Non avrei ripreso a giocare ad alti livelli senza un recupero graduale e concreto, ed eccomi qui, in quarta divisione. Mi alleno due volte al giorno qui e faccio una sessione di fisioterapia cinque giorni su sette. A livello psicologico, invece, è molto importante avere il sostegno di chi mi è sempre stato vicino e stare a casa è sicuramente un vantaggio. Con mio fratello c’è fiducia e la gente del posto mi ha accolto benissimo fin dal primo momento”.
Sull’esperienza nel calcio che conta, e sul Napoli, ha detto:
Più che un antieroe diciamo che mi sento un calciatore al quale non importa il palcoscenico in sé quanto lo spirito del club. Sono stato nel Rayo, nello Swansea e nel Napoli e in tutte queste realtà mi sono sentito anzitutto accettato come persona e poi come giocatore. Sono così, un po’ strano, in effetti, non ho mai puntato a uno stipendio faraonico quanto alla soddisfazione personale. Dal momento in cui riempio il borsone per l’allenamento mi sento contento e propositivo, ed è una sensazione che mi riempie la giornata.
Il Napoli per me è un rimpianto enorme. Ero arrivato con tanta voglia di far bene e di dare il mio contributo a una grandissima squadra, ero nel punto più alto della mia carriera. Poi la caviglia, che già mi tormentava dai tempi dello Swansea, cominciò a farmi male in continuazione e non riuscii a trovare pace da un dolore costante. Nemmeno il recupero qui in Spagna mi aiutò e l’impotenza di non riuscire a giocare mi distrusse psicologicamente”.