Il copione, scontato e posticcio, sulle ragioni che spingono un boss della camorra a vestire i panni del pentito, l’ha lasciato chiuso in un cassetto. Almeno lui. Marco Mariano, l’ex padrino dei Quartieri Spagnoli, si affida ad una ‘scrittura’ più snella e all’apparenza criptica per spiegare in aula, per la prima volta, perché ha deciso di cambiare il passo della propria vita. «La mia non è proprio una scelta di collaborare con la giustizia», dice, collegato in video-conferenza con l’aula bunker del carcere di Poggioreale, nel corso del processo con rito abbreviato che lo vede imputato con una quarantina di persone per una sfilza di reati che vanno dall’associazione mafiosa, all’estorsione sino al reimpiego di capitali illeciti. «È che a un certo punto arriva l’età della ragione», afferma, esibendo letture e riflessioni sul secolo dei Lumi che sorprendono in un uomo abituato alla violenza e al crimine. Il senso è chiaro: è in atto un grande cambiamento. E Marco Mariano ne renderà conto in un memoriale che promette di scatenare un vero e proprio terremoto nel mondo del crimine organizzato. «Mi assumo le mie responsabilità. E racconterò tutto ciò che so delle persone imputate in questo processo in un manoscritto». Il 25 ottobre è la data di consegna del dossier. Ce ne sarà per tutti. A cominciare dal fratello del boss pentito, Ciro, che la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ritiene essere il capo indiscusso del sodalizio benché l’uomo sia detenuto in carcere da un decennio. Sino ad arrivare agli imprenditori, ‘lavatrici’ del denaro sporco della cosca, e agli aspiranti politici che Marco Mariano – alle elezioni comunali del 2011 – cercò di piazzare a Palazzo San Giacomo.
L’ex boss dei ‘picuozzi’ parla pochi minuti. Il tempo necessario per tracciare un solco netto col passato e destare le ire di chi per anni l’ha ‘servito’ commettendo reati su suo mandato. La voce di una donna rompe il religioso silenzio che accompagna la celebrazione di un processo: «Ma come fai a mettere la testa sul letto?». Il giudice per le indagini preliminari lancia un’occhiata torva. Il clima è teso. Poi la ‘toga’ che ‘arbitra’ il procedimento dà atto della consegna di un manoscritto a firma di Patrizia Cinque, la moglie di Marco Mariano. È una sorta di lettera a cuore aperto nella quale la donna ripercorre la storia d’amore con Marco Mariano, il primo anno di matrimonio da favola e la scoperta della natura della loro ricchezza, costruita sul sangue e sui sacrifici di commercianti e imprenditori spremuti come limoni affinché pagassero il ‘pizzo’ a Marco Mariano. «A un certo punto ci trasferimmo a Fuorigrotta, lui mi promise che avrebbe cambiato vita. E io pensavo che lo avesse fatto», è un passaggio del ‘documento’. Non era vero. Marco Mariano ha continuato a fare il camorrista sino al settembre dello scorso anno, sopravvivendo ad arresti e condanne. Fino al settembre dello scorso anno, quando la maxi-inchiesta della Direzione distrettuale antimafia e dei carabinieri ha infranto i sogni di ‘rinascita’ del sodalizio, facendo finire in galera lui, la consorte, un nugolo di imprenditori che gestivano le finanze di famiglia, nonché il ‘braccio operativo’ della cosca. Una mazzata. Che ha spinto Marco Mariano ad imboccare una curva inaspettata. Lui, 61 anni, ha ‘svoltato’ per una questione di opportunismo. Come sempre accade in questi casi. Anche se gli piace raccontarla in modo filosofico.