Quel giardino sventrato dalle ruspe resta povero, senza alberi e profumi. Ci sono rovi ovunque nell’ex polmone verde di vico III Rota, a quattro passi dal salotto buono di Sorrento. Secondo il Tribunale di Torre Annunziata, l’autorimessa interrata da 252 box non può essere costruita. Anche perché il permesso fu rilasciato con macchie pesanti. Eppure, secondo gli imputati, le condanne vanno annullate e tramutate in assoluzioni. La tesi è simile a quella già portata avanti in dibattimento. Il progetto, a differenza di come ha sancito il Tribunale oplontino, rispetta il Put della penisola sorrentina. E poi, si tratta di un dettaglio, il processo di primo grado si è anche “giocato” con ampio risalto mediatico e con parti civili ostinate, come Wwf e Vas, che hanno avuto un ruolo decisivo.
E’ più o meno questa la linea di ragionamento che ha portato nei giorni scorsi Adriano Bellacosa, Giuseppe Langellotto, Dario Perasole e Lucio Grande a fare ricorso per il processo Boxlandia. I quattro attendono che sia fissato il giudizio di secondo grado dinanzi ai giudici della Corte d’Appello di Napoli. Imputati a vario titolo di falso e abuso d’ufficio, furono tutti condannati a un anno e 8 mesi. Si prospetta battaglia. Gli ambientalisti, attraverso gli avvocati Giovanbattista Pane e Giovanni Pollio, scaldano già i motori per costituirsi nuovamente parte civile. Com’è noto, si dibatte sulla legittimità dell’autorizzazione concessa dai commissari ad acta della Provincia di Napoli, Grande e Perasole, a favore del progetto che prevedeva i box nel fondo di Bellacosa attraverso i lavori dell’impresa Langellotto.
Le difese dovranno scardinare alcuni elementi che vengono “blindati” nelle motivazioni del Tribunale di Torre Annunziata (presidente Rosaria Maria Aufieri, a latere Paola Cervo e Federica De Maio).
Grande e Perasole, in 34 giorni, rilasciarono il «tanto agognato permesso» superando il parere negativo della commissione edilizia comunale con «una conclusione frettolosa». «Una simile efficienza – scrivono i giudici – rasenta lo zelo e rappresenta elemento di sicuro rilievo. Il permesso è illegittimo perché le opere non sono conformi al Piano urbanistico territoriale dell’area sorrentina. Il fondo interessato ricade in zona territoriale 4 del Put che impedisce l’edificazione delle aree libere fatta eccezione per le attrezzature pubbliche». Il progetto targato Bellacosa-Langellotto prospettava «parcheggi privati a futura pertinenzialità» con un permesso «che non menziona alcuna deroga». Dimostrare il contrario «appare strada impervia». Assume un ruolo preminente anche il preliminare di compravendita tra Bellacosa e Langellotto secondo cui sarebbe stata Edilgreen a vendere i box pagando a Bellacosa due milioni per l’acquisto del diritto di superficie del sottosuolo. L’unica condizione era l’ottenimento del permesso che, invocato nel 2007 e negato dal Comune, viene rilasciato solo nel 2010 quando a occuparsene sono i commissari. «Tali elementi – scrivono i giudici – dimostrano che Bellacosa aveva interesse al permesso. L’affare era troppo vantaggioso».
Di recente, proprio sul futuro del giardino di vico III Rota, è stata bocciata la proposta di istituire il parco Giò Antonetti, da dedicare al compianto coordinatore dell’Italia dei Valori della penisola sorrentina che presentò numerose denunce all’autorità giudiziaria. Il Comune di Sorrento, nonostante una petizione popolare forte di 3mila firme, sancì lo stop al progetto anche per una questione economica.
CRONACA
14 febbraio 2017
Boxlandia, faida infinita a Sorrento: ricorso dei condannati, è processo bis