“Voglio andare ad Algheeeero, in compagnia d’uno straniero”. Il telefono di Pasquale Errico squilla di continuo, e la suoneria scelta per le chiamate in entrata, la celebre e orecchiabile canzoncina di Giuni Russo, tradisce un pezzo del suo passato. «Eh sì, la Sardegna m’è rimasta nel cuore e non solo per gli arresti fatti in una delle prime operazioni anti-terrorismo portate a termine nel nostro Paese», dice con un sorriso il Questore di Salerno. Memoria recente d’un biennio di lavoro a Sassari, una delle tante esperienze in giro per l’Italia per questo poliedrico uomo del Sud di 62 anni. Napoletano di via Tasso, quartiere Chiaia, è un avvocato e docente universitario impegnato da una vita in Polizia, e però con alle spalle pure una parentesi in banca e tanti altri interessi da coltivare nei ritagli di tempo che gli restano, quando è fuori dal suo ufficio, al primo piano del palazzo di Piazza Amendola. È arrivato all’ombra del Castello d’Arechi da poco più di sette mesi, con un bagaglio ricco, che non ostenta ma di cui va fiero, specie se viene sollecitato sulle “guerre di camorra” che ha combattuto in prima linea, da Scampia ad Ercolano, con una “puntatina” mica da ridere in Calabria, nel feudo ‘ndranghetista di Gioia Tauro.
Questore Errico, com’è la “nuova vita” salernitana?
«Tanto lavoro, ma anche belle soddisfazioni. È una città a dimensione d’uomo, con molte potenzialità, alcune ancora da esprimere. Una realtà importante del Mezzogiorno».
Un’isola felice della Campania?
«Le etichette possono ingannare. A Salerno si vive bene, ci sono delle eccellenze turistiche ed economiche nel capoluogo come in provincia, ma c’è sempre da migliorare ed è sbagliato illudersi che tutto vada bene».
A Salerno c’è la camorra?
«Impossibile escluderlo, anche se non si vede. La criminalità organizzata non è solo quella che spara o impone il “pizzo”. È anche il motore dello spaccio di droga. È l’imprenditoria dell’illegalità, a volte sa nascondersi».
E la sicurezza nel capoluogo?
«Stiamo facendo un lavoro costante. L’altro giorno, dinanzi al ministro Minniti e al capo della Polizia, Gabrielli, il sindaco Enzo Napoli ha avuto parole d’elogio per me e per il prefetto Malfi nel tracciare un bilancio di Luci d’Artista: 2 milioni di visitatori e neppure uno scippo. Un motivo d’orgoglio per tutte le forze in campo in una grande kermesse turistica».
Spostiamoci in provincia.
«Nell’Agro Nocerino Sarnese e nella Piana del Sele ci sono clan più radicati, e ancora attivi. Ma lo Stato c’è. Il recente blitz tra Pontecagnano ed Eboli lo dimostra».
E poi c’è Scafati, Comune sciolto per infiltrazioni camorristiche.
«Se il Ministero dell’Interno arriva a tanto vuol dire che sono emerse gravissime ingerenze della criminalità organizzata nella macchina amministrativa. Non entro nel dettaglio, perché sono Questore di Salerno da troppo poco tempo per esprimermi in merito, però adesso comincia la rinascita con i commissari. È un’esperienza che ho vissuto quand’ero a Portici, so quanto sia delicata e importante».
Ce la racconti.
«Svolsi funzioni di sub-commissario, partecipai alla fase di traghettamento del Comune. C’è da ripristinare la legalità, restituire la libertà ch’è stata soffocata alla gente. È quel che dovrà accadere anche a Scafati».
A Portici ha combattuto il clan Vollaro.
«Sì, con arresti e confische di beni. Fu una battaglia durissima alla cosca guidata dal “Califfo”».
Erano i primi anni 2000, periodo “caldo”, pure tra Ercolano e Torre del Greco.
«Lì c’era la faida tra i gruppi Birra e Ascione. Contammo una decina d’omicidi, e diversi altri raid. S’arrivò a sparare persino nel mercato di Pugliano. Rispondemmo con una repressione forte, anche se fu difficilissimo lavorare in un territorio funestato».
Per territorio funestato intende “sottomesso”?
«Esatto. Le racconto un aneddoto. Ero testimone in un processo per la “guerra” di Ercolano, in videoconferenza c’era il boss Giovanni Birra, che si rivolse a me dicendo: “Dottore, mi dipingete come un camorrista ma io vi dico che non è vero. E se non mi credete, chiedete nei vicoli di Ercolano chi sono veramente”».
Cosa stava a significare?
«Che tanta gente stava con lui. Non solo gli affiliati. Un po’ per paura, un altro po’ perché il clan aveva portato l’illusione del benessere. I ragazzini spacciavano droga e guadagnavano tanto. Ecco, la battaglia alla camorra è anzitutto un processo culturale. Non basta la repressione».
Ancora “a spasso” nella sua storia: Commissariato di Scampia. Com’era lavorare nel “cuore” di Gomorra?
«Anche lì vissi il clou della faida. Scoprimmo gli “scissionisti” del clan Di Lauro quando ancora nessuno li aveva ribattezzati così. E ne arrestammo 7, piombando una notte al 13esimo piano del Lotto Tb. È un episodio che ha poi raccontato anche Saviano».
Ecco, Saviano. Le piace?
«Non ho letto i suoi libri».
Ma davvero?
«Le sembrerà strano, ma è così. Il perché è presto spiegato: faccio il poliziotto per 15 ore al giorno, combatto la camorra vera, nel tempo libero preferisco rilassarmi leggendo o vedendo altro in tv. Non è un giudizio negativo sullo scrittore, sia chiaro, solo una mia precisa scelta».
Cosa fa il dottore Errico quando non è “il Questore” ma semplicemente Pasquale?
«Leggo libri giuridici. Scrivo saggi della materia. Collaboro con la cattedra di procedura penale della Federico II di Napoli. L’Università è una mia grande passione».
Ed è un “prof” gradito agli studenti?
«Non mi faccia auto-valutare».
Cambio domanda: comincia l’esame con un argomento a piacere?
«Con un argomento facile. Poi, se il candidato risponde positivamente alzo l’asticella della difficoltà. Non per essere cattivo, ma per accompagnare lo studente a un buon voto»..
Insomma, è un bravo docente. È quel che vorrà fare a tempo pieno “da grande”?
«Intanto faccio il Questore. Poi vedremo, quando andrò in pensione. Ho fatto diverse cose nella mia vita, dall’ausiliare nei Carabinieri, era il 1977, all’impiegato in banca dal 1980 al 1983 dopo la laurea in Giurisprudenza e l’abilitazione da avvocato, mentre studiavo per il concorso in Magistratura. Esperienze che sono tornate molto utili».
Ha fatto e fa anche il papà.
«Sì, ho due figli. Il primo ha scelto la mia stessa strada, ed è commissario di Polizia. Il secondo invece studia Medicina, il suo sogno è sempre stato fare il chirurgo. Ed io non ho mai influenzato le loro scelte».
Insomma, fuori dalla Questura si dedica alla lettura, allo studio, alla famiglia, ma qualche altro hobby?
«Amo il mare. Fino a qualche anno fa facevo il bagno anche d’inverno».
E il calcio?
«Il lavoro mi ha portato a “specializzarmi” nei piani di sicurezza per le gare più a rischio, però in realtà non sono un appassionato né un tifoso. Ho coordinato il servizio d’ordine per gli incontri del Napoli al San Paolo. Quest’anno ho iniziato a conoscere il tifo della Salernitana».
Come le sembra la torcida granata?
«Passionale, numerosa, sostanzialmente corretta. A settembre cominciammo con l’arrivo all’Arechi del Verona, e andò benissimo. Sono soddisfatto, anche se spero che le cose cambino».
Nel calcio?
«Sì, nel modo di viverlo. È un discorso culturale anche questo. Odio i divieti di trasferta. Sogno stadi senza barriere, spalti gremiti dalle famiglie, genitori che possano portare alla partita i propri bambini senza alcun timore. Serve uno scatto nella mentalità delle persone, e servono pure impianti più belli e funzionali rispetto a quelli attuali».
Riparte “Alghero” di Giuni Russo. Prima di rispondere al telefono, risponda alle ultime due domande. L’operazione di Polizia “del cuore”, quella a cui resta più legato?
«“Green Ice”, un’attività condotta in sinergia tra le Polizie di Napoli, Roma e la Dea americana: 400 arresti in tutto il mondo per traffico internazionale di stupefacenti dalla Colombia. Era il 1992».
Last but not least, un giudizio sul governatore della Campania, Enzo De Luca.
«Non l’ho ancora conosciuto di persona. Però ricordo che qualche anno fa, quando venni a far da docente per un corso di Polizia Municipale a Salerno, gli agenti mi parlarono di lui, ch’era all’epoca sindaco: “Non se ne sta in Comune ad aspettare, scende in strada con noi vigili”, mi raccontarono. La decisione e la fermezza sono note di merito. Ma non mi faccia parlare di politica. Senta qui, di nuovo “Voglio andare ad Alghero”».
Un altro sorriso, poi sì, finalmente può dire “pronto”…