Poco più di una pagina e mezza, un foglio a righe di quelli usati per le lettere, prima che grazie al digitale l’email soppiantasse quasi completamente la corrispondenza “reale”. L’unica, tuttavia, a cui un detenuto può affidare i suoi pensieri, le riflessioni, le paure. Frasi pesanti come macigni, indirizzate “Al sig. direttore del quotidiano Metropolis”, in una calligrafia chiara, tutta in maiuscolo, per evitare dubbi e il rischio di risultare illeggibile.
Voleva farsi capire bene, “il detenuto Afeltra Ciro”, come si firma l’autore, firmando in corsivo in calce a quelle righe. Sì, Ciro Afeltra è un detenuto. E lo resterà per sempre. Condannato all’ergastolo per aver contribuito, con la sua condotta sconsiderata, alla morte di un ragazzo come lui. Un gesto che oltre all’esistenza della vittima e della sua famiglia, ha distrutto anche la sua.
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