Giovani fragili e insoddisfatti, il ruolo fondamentale degli psicologi
Armando Cozzuto negli studi tv di Metropolis
11 marzo 2025
Armando Cozzuto negli studi tv di Metropolis

Giovani fragili e insoddisfatti, il ruolo fondamentale degli psicologi

Raffaele Schettino

Presidente Armando Cozzuto, cresce il numero di giovani che dichiara di vivere una condizione di disagio psicologico. Cosa accade?

«I giovani hanno ancora una visione ottimistica però hanno pochi spazi dove poterla esplicitare. I ragazzi sono sensibili dunque se sanno che ci sono delle figure che possono aiutarli ad affrontare una fase di vita abbastanza delicata, hanno il coraggio di rivolgersi ad uno psicologo. Ciò che cambia oggi è che viviamo in una società liquida dove i confini e i riferimenti sociali si perdono e c’è poco spazio per l’idea della fragilità e del fallimento, aspetti invece fondamentali che ci pongono di fronte al concetto di limite. Se i giovani non vengono educati a questa sensabilità, cosa che dipende soprattutto dai contenitori sociali primari quali la famiglia e la scuola, poi non trovano altro modo per confrontarsi con l’idea di limite se non negandolo o sfidandolo e dunque mettendo in atto comportamenti pericolosi o violenti».

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Il 10% dei ragazzi tra i 12 e 25 anni non si sente soddisfatto della propria vita.

«A volte noi abbiamo la memoria corta e dimentichiamo l’impatto del covid. C’è una generazione di ragazzi che ha vissuto uno stop temporale, alcuni sono passati direttamente dalla scuola secondaria di primo grado alla secondaria di secondo grado bypassando tutte le prime volte e vivendo una situazione davvero stressante. Si sono dovuti confrontare con il tema della morte in una società dove della morte si parla molto poco quando essa stessa è utile a comprendere l’idea di limite. Molti giovani hanno anche visto la parte più debole delle proprie famiglie e questo non li ha aiutati con la progettualità. Uno dei problemi è proprio che le famiglie e le scuole andrebbero maggiormente sostenute, si investe ancora poco in questo campo».

Tutto questo rende i ragazzi più fragili. E questo li espone alla depressione, alla violenza, all’uso delle droghe.

«Sì, in questo caso è abbastanza difficile generalizzare. Ci sono dei fattori di rischio e dei fattori protettivi. Noi molto spesso ci concentriamo sui primi, quelli che possono spingere una determinata generazione a comportarsi in un certo modo però a mancare a volte sono proprio i fattori di protezione. Può succedere che sia per emulazione che per provare determinate emozioni, si ricorra all’uso delle droghe. Tutti noi per essere indipendenti abbiamo bisogno di dipendere da qualcosa. Se c’è la possibilità di sperimentare una sana dipendenza, tutta quella fase complicata di svincolo che gli adolescenti iniziano ad elaborare prima ancora di affacciarsi all’idea di andare fuori dalla famiglia, può essere vissuta in modo migliore. L’individuo crescerà con maggiore fiducia in se stesso e potrà progettare nonostante le incognite che incontrerà sul cammino. Se in questo processo cominciano ad esserci dei piccoli default, bisogna intervenire perché si rischia di crescere poco strutturati, con una bassa progettualità e con difficoltà a tollerare la frustrazione».

Quanto pesano i social?

«Non è lo strumento il problema ma l’utilizzo che se ne fa e le alternative che noi forniamo. Quali sono le politiche che consentono a questi ragazzi di avere degli spazi all’interno dei quali possono esprimere le loro risorse emergenti? L’alternativa è che, in un contesto in cui di solito i genitori sono “costretti” a lavorare tutta la giornata, questi ragazzi, al di là di quelli che sono i contenitori che ci sono mancati durante il covid, hanno trovato un’alternativa, uno strumento che fornisce l’illusione di essere presenti sempre. Contano molto anche i messaggi che veicoliamo. Oggi coloro che hanno il potere di fare informazione passano spesso dei messaggi tarati sui concetti di perfezione, bellezza e successo che di per sé non sono elementi negativi però se ci sono solo quelli, diventa un’esasperazione e una corsa contro l’impossibile da cui non si trae soddisfazione».

Paradossalmente, l’uso dei social o degli smartphone ha isolato i ragazzi.

«Sì, ci sono scuole che hanno preso decisioni drastiche quali quella di ritirare i cellulari all’ingresso, segno del fatto che non riusciamo ad arginare questi fenomeni e non abbiamo la capacità emotiva di capire cosa questi ragazzi vogliono dirci. I giovani hanno bisogno di tempo e di qualcuno che investa su di loro. Un tempo questo era più fattibile per quanto paradossalmente le possibilità economiche o tecnologiche fossero minori, oggi no. Possiamo dare la colpa alla tecnologia nonostante porti tantissimi benefici ma quello che manca davvero in realtà, è quel mondo di mezzo dove noi anziché contestarla, la padroneggiamo».

La vostra figura professionale nel corso di questi anni si è decisamente trasformata.

«Sì, il covid è stato la crisi di cui avevamo bisogno per capire che dobbiamo prenderci cura anche della nostra mente, ha velocizzato molto la riduzione del pregiudizio nei confronti degli operatori della Salute Mentale. La tecnologia poi ha consentito connessioni multiple e aumentato velocemente la possibilità di accumulare il sapere aprendo a scenari nuovi. Su questo i ragazzi ci hanno aiutato tanto perché sono sempre stati quelli che meno hanno risentito di questo pregiudizio ».

In Campania c’è stato il progetto pilota dello psicologo di base.

«Il nostro servizio di psicologia di base è il nostro fiore all’occhiello. Lo psicologo va a fare da ponte tra il lavoro svolto sul territorio dal medico di medicina generale e dal pediatra di libera scelta. La loro sinergia è fondamentale. Quando la regione Campania ha vinto il ricorso in Corte Costituzionale e approvato questa legge, ci chiedevamo quale sarebbe stata la risposta dei cittadini. È stata incredibile. C’era un bisogno totalmente inascoltato, abbiamo registrato 68.000 accessi in un anno, oltre 14.000 persone prese in carico. Il servizio ci consente anche di fare prevenzione e aumentare la sostenibilità del Sistema Sanitario regionale».

Altro strumento fondamentale, psicologo a scuola.

«Siamo uno dei pochissimi paesi europei a non avere ancora un servizio strutturato. Grazie alla Regione Campania ora abbiamo gli psicologi in 534 scuole che hanno fatto richiesta per partire con questa prima fase sperimentale e molte altre si stanno aggiungendo. È un lavoro complesso perché non solo bisogna sostenere gli alunni ma anche il personale docente, i genitori e il personale ATA attraverso un intervento di sistema che a breve verrà ordinato dall’ordine degli psicologi della Regione. Se noi riuscissimo ad avere questi due servizi strutturati con una legge nazionale, andremo a dare un servizio ai cittadini che cambierebbe davvero tanti scenari secondo me».