«La sinistra non esiste più. Tutto quello che è di sinistra sta fuori dai partiti, ormai improduttivi».
Fausto Bertinotti, che fine ha fatto la sinistra?
«E’ scomparsa, fagocitata da due fenomeni. La dipendenza culturale dalla modernizzazione capitalistica che l’ha risucchiata nel mito della globalizzazione. E dal fatto che è diventata parte costituente di un’Europa neo autoritaria. Questo ha prodotto la fine della grande contesa tra destra e sinistra. Un vuoto riempito dal conflitto tra popolo e elite, il populismo sociale. I Cinque Stelle ne hanno fatto un elemento fondativo e così conquistano il voto popolare”.
E spuntano i leader populisti.
«Il populismo è un terreno obbligatorio, una dimensione pre politica e una sinistra che voglia rinascere deve attraversare questo guado. In Europa si possono chiamare populisti Podemos, Le Pen e Grillo, diversi ma tutti fautori della rivolta del popolo contro l’elite. Chiunque voglia fare politica deve affrontare la questione».
Invece i partiti spariscono.
«Non esistono più i partiti del popolo. Ci sono quelli che prendono voti, ma senza dimensione sociale, politica e culturale. Non sono grandi agenzie formative».
Non lo è nemmeno il Pd?
«Mi pare evidente. Basta guardare i risultati elettorali di Roma: 20 anni fa le forze moderate vincevano al centro storico e ai Parioli e la sinistra nella prima e seconda periferie. Alle ultime elezioni la carta geografica si è rovesciata e il centrosinistra è sommerso dall’onda dei Cinque stelle che vince dove c’è il voto popolare».
E intanto la sinistra continua a scindersi.
«Ho rispetto per le singole persone ma non credo possa nascere alcunché».
Si riferisce a D’Alema, Bersani e al progetto Mdp?
«Quello che nasce sta venendo sù fuori dall’orto tradizionale. I partiti vanno verso un processo degenerativo. Ciò che nasce nei partiti tradizionali è definitivamente improduttivo perché è avvenuta una mutazione genetica che li rende indisponibili alla rinascita della politica».
Quindi anche questa scissione non porterà a nulla?
«Io la scissione non la vedo».
Come la definisce allora?
«Al massimo una separazione. è un rapporto logoro tra ceti politici. Le scissioni sono altro. Dividevano le famiglie, rompevano le amicizie, provocavano lutti elaborati per anni. Le scissioni hanno a che fare con le ideologie con l’esigenza di tornare a messaggio originario che viene considerato tradito».
Lei sosteneva che una sinistra unita poteva vincere.
«Era un’altra epoca, allora si poteva riorganizzarla, ora bisognerebbe reinventarla. La sinistra nasce da un terreno diverso da quello tradizionale, dalla piazza. Come in Grecia con Tsipras e in Spagna con Podemos».
A Podemos s’ispira de Magistris.
«Non conosco l’esperienza de Magistris, meglio non commentare».
Mettiamola così: come giudica gli ex pm in politica.
«Ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere».
De Magistris dice di poter essere il nuovo, un leader del popolo per il popolo, contro chi ha devastato il Sud messo in ginocchio dalla disoccupazione.
«C’è un dato di fatto: il tasso di disoccupazione al 40%. Al di là degli slogan è un furto al futuro dei giovani. Io credo che bisogna indignarsi e gridare contro
la politica».
Come sono le istituzioni?
«Inadeguate, hanno una parvenza di democrazia dietro cui si cela una struttura neo autoritaria, con il primato del governo sul parlamento e sulla politica, diventata prigioniera della governabilità fino a suicidarsi».
Manca lo spessore della classe dirigente. Qualcuno dice: colpa di Tangentopoli e della politica post-ideologica.
«Tangentopoli ha cambiato tutto, e da allora è cambiato il mondo. I partiti allora erano partiti, oggi non lo sono. Allora il Parlamento e il voto avevano un peso, oggi il Parlamento è soverchiato dal Governo e i partiti sono senza peso nella società».
E la corruzione è rimasta in vita.
«Sì, ma è cambiata anche quella. Prima era a favore dei partiti, oggi ci sono delle consorterie che vivono dentro e fuori i partiti alimentando il processo di corruzione che investe anche le amministrazioni. Allora era la politica a dettare il gioco, oggi sono le consorterie di potere».
Da politico a prof universitario, tra i giovani e la politica può rinascere l’amore?
«I giovani hanno grande curiosità verso i problemi, ma sono disamorati nei confronti della politica. E’ il tempo che i giovani non contino più sui padri per farcela».
E torniamo alle responsabilità della politica.
«Già. E il problema non si riversa solo sui giovani».
E su cosa altro?
«Sulla lotta al terrorismo, per esempio. Le risposte della politica sono riduttive. E’ una terza guerra mondiale alimentata da interessi economici. La realtà è quella di un’ ingiustizia che scava solchi della civiltà. La risposta dovrebbe stare in una grande politica, ma purtroppo non se ne vede all’orizzonte».