«Da queste ceneri risorgeremo, ve lo prometto». Luciano Cascone, che con i fratelli Emiliano e Raffaele e papà Alfonso ha creato e gestisce Artecarta Italia, è una roccia. Ma non può nascondere un minimo di commozione, quando i 54 operai che insieme alla sua famiglia stanno vivendo il dramma della distruzione dell’azienda, gli si stringono intorno per abbracciarlo. Anche papà Alfonso è una roccia: da lunedì notte, quando la fabbrica bruciava ancora, non ha fatto altro che pensare a come andare avanti. Indicando ai figli e ai dipendenti le priorità da affrontare, i contatti da attivare, le segnalazioni da lanciare. Ma per lui, 65 anni e una vita di lavoro basata sulla passione che ha trasmesso ai figli, alla fine più che la fatica ha pesato il dispiacere. E’ una roccia, papà Alfonso, ma in questo momento sta male, è in ospedale a Napoli, colpito da un malore al cuore, per fortuna non grave. E’ anche per lui che da lunedì notte i suoi dipendenti presidiano quello che resta della fabbrica, in via Galileo Ferraris. Da quando la mano criminale dei piromani ha preso di mira l’azienda con lo scopo – purtroppo riuscito – di metterla in ginocchio. Anche ieri mattina hanno dato vita a una manifestazione per far conoscere quello che stanno vivendo. Le loro storie, le loro vite, che rischiano di andare in fumo come la fabbrica di packaging alimentare.
C’è Francesco, 46enne di Castellammare, che ha moglie e tre figli. Con i Cascone ha iniziato a lavorare nel lontano 1999: «Abbiamo cominciato in uno scantinato, a Messigno, lavorativamente sono tra i più anziani, qui. Ho visto nascere e crescere quest’azienda grazie alle capacità, all’intuito e all’abnegazione della famiglia Cascone, con la quale si è instaurato un rapporto che va al di là di quello lavorativo. Non ci danno solo di che vivere, pagando sempre puntualmente tutto il dovuto, ma in tanti anni ci hanno consentito di fare progetti di vita, di crearci una famiglia, di sognare un futuro. Chi ha distrutto quest’azienda non ha fatto i conti con quello che c’è dietro: possono aver bruciato la carta e le pareti, ma la nostra volontà di andare avanti, di affiancare la famiglia Cascone è più forte di tutto, se ne accorgeranno».
Agostino, 36enne di Sant’Antonio Abate, sposato e padre di un bambino, invece è l’ultimo arrivato all’Artecarta Italia: «Sono stato assunto nel 2014 dai Cascone, dopo aver cambiato mille lavori, tutti precari, sempre sottopagato, spesso maltrattato da chi pensa di comprare anche la dignità delle persone a cui paga uno stipendio, per quanto misero. Qui invece ho trovato un altro mondo, non mi sembrava vero: pagamenti puntuali, busta paga vera, condizioni di lavoro in tutta sicurezza, tutto a norma. Quando lunedì notte è bruciato tutto mi è caduto il mondo addosso, ho pensato subito al futuro della mia famiglia, a quello dei miei compagni di lavoro. Spero che qualcuno si svegli, tra le istituzioni, e si renda conto che dalla sera alla mattina 54 famiglie si sono trovate in mezzo a una strada. Ripartiremo, ne sono sicuro, ma nel frattempo c’è bisogno di una mano».
Sono quasi tutti giovani, i dipendenti di Artecarta Italia. Come Giorgio, 28enne di Pompei, in azienda da 8 anni: «A giugno scorso mi sono sposato, avevo la solidità economica di un lavoro che non è mai stata minacciata in questi anni, neanche nei momenti più duri, in cui altre aziende chiudevano per la crisi, una dopo l’altra. La famiglia Cascone mi ha permesso di crescere e di formarmi una famiglia senza essere costretto ad emigrare lontano da casa. Farò di tutto perché quest’azienda si rimetta in piedi, insieme ai miei colleghi, siamo tutti determinati in questo».
Anche Carmine, 28enne di Scafati, si è spostato da poco: «A fine giugno insieme alla mia fidanzata abbiamo toccato il cielo con un dito, eravamo felicissimi. Ora questa mazzata. Non ci voleva proprio. Avevamo dei progetti, ma sono sicuro che ce la faremo a portarli avanti. Quest’azienda è nostra, è casa nostra, nessuno riuscirà a distruggerci. Risorgeremo, anche più grandi di prima. Siamo disposti a fare qualsiasi sacrificio per riuscirci».
Per Silvio, 42enne di Pompei, due figlie di 9 e 11 anni, il rischio concreto di perdere il lavoro non è l’unico incubo che deve affrontare: «Purtroppo avevo affidato, tempo fa, tutti i risparmi della mia famiglia ad un broker, un mio amico di infanzia. Questo personaggio qualche mese fa è scomparso dalla circolazione, e con lui anche i miei soldi. Non sono l’unica persona che ha truffato, molte sue vittime fanno parte proprio della cerchia degli amici. Per me l’azienda, il lavoro, erano diventati l’unico punto di riferimento per il futuro della mia famiglia. I responsabili di questo gesto scellerato pensano di aver distrutto degli oggetti e un capannone, forse non si rendono conto che rischiano di mandare in fumo anche la vita di tante persone».
Davanti all’azienda c’è anche l’ultimo arrivato nella famiglia Artecarta: è il piccolo Raffaele, di appena tre mesi. Mamma Rossella è la moglie di Luciano Cascone: «In questo momento il pensiero va a nonno Alfonso. Lui è una roccia, una guida per la famiglia e per l’azienda, si deve rimettere presto in piedi, tutti abbiamo bisogno di lui. Sono sicura che ce la faremo, e anche il piccolo Raffaele, da grande, darà il suo contributo all’Artecarta».