Faida stabiese: le dichiarazioni del pentito non convincono e la difesa chiede di riascoltare l’ex ras degli scissionisti Luciano Fontana. Si apre con un primo colpo di scena il processo bis per la guerra di camorra tra il clan D’Alessandro e gli Omobono-Scarpa, la cosca emergente che avrebbe provato a distruggere i boss di Scanzano. Dopo l’annullamento della Cassazione – che ha cancellato 2 ergastoli e 3 condanne a 18 anni per i 5 imputati chiedendo una rideterminazione della pena – ieri mattina il processo è ripartito davanti ai giudici della Corte d’Appello del tribunale di Napoli. Sul piatto due omicidi eccellenti: quello di Antonio Martone, cognato del padrino Michele D’Alessandro, e Giuseppe Verdoliva, braccio destro del boss di Scanzano. Delitti commessi nel 2004.
Il procuratore generale ha richiesto la rinnovazione dell’istruttoria e l’acquisizione della condanna per associazione di stampo mafiosa. Il collegio difensivo (rappresentato, tra gli altri, dagli avvocati Antonio de Martino e Lumeno Dell’Orfano) ha però subito calato il jolly, chiedendo di riascoltare Luciano Fontana, fratello di Antonio, quest’ultimo scissionista pentito del clan D’Alessandro che è stato ucciso ad Agerola a luglio dello scorso anno. Secondo il collegio difensivo – tesi che sarebbe in parte stata ribadita dalla sentenza di annullamento con rinvio della Cassazione – le dichiarazioni di Luciano Fontana non sarebbero verificate dai riscontri oggettivi.