Stanno cercando riscontri alle dichiarazioni apprese durante gli interrogatori di ieri in Questura, gli investigatori della Squadra Mobile e i magistrati della Procura dei Minorenni e della DdA che stanno indagando sull’omicidio di Emanuele Tufano, ucciso con un colpo di pistola alla schiena la notte tra il 23 e il 24 ottobre a Napoli. Si tratta di un’opera certosina finalizzata a delineare anche nei minimi dettagli quanto successo in via Carmeniello al Mercato, all’angolo con corso Umberto I.
Le modalità dell’accaduto sono tipicamente mafiose anche se al momento non è chiaro se lo sia anche chi ha sparato. L’attenzione si è concentrata su alcuni minorenni piuttosto spregiudicati: alcune dichiarazioni rese risultano essere collimanti tra loro, altre invece discordanti e gli approfondimenti sono in corso già dalla notte appena trascorsa. Intanto è stato dimesso uno dei due amici della vittima, un 14enne giunto in ospedale con ferite varie, definite non gravi: escoriazioni e lievi traumi al capo. Nel Cto della città ieri, insieme a lui, è giunto anche un 17enne con una ferita d’arma da fuoco al braccio che ha costretto i sanitari a un intervengo chirurgico urgente.
l’assessore regionale alla Scuola, Politiche Sociali e Politiche Giovanili, Lucia Fortini si dice colpita. «Noi non ci rendiamo conto di quello che sta succedendo perché quando dei ragazzini che appartengono a contesti normali, impugnano delle armi, significa che hanno modelli di riferimento che evidentemente non vengono né dalla famiglia, perché le famiglie di questi ragazzi sono famiglie di lavoratori, famiglie di persone comuni, e questi ragazzi non hanno più come modello né la famiglia di appartenenza, né la scuola».
E continua: «Evidentemente ci sta sfuggendo evidentemente quello che è il modello di riferimento dei ragazzi. Probabilmente ci dovremmo fermare a parlare con loro. Una idea che era emersa ieri, era di organizzare una settimana di confronto in ogni scuola con persone che loro ritengono utili per un confronto e parlare per capirsi, comprendersi. Noi non siamo degli estranei che loro vedono, anche se noi abbiamo sicuramente e fortunatamente modelli di riferimento diversi. Per la nostra generazione era impensabile immaginarsi di vedersi per strada e picchiarsi per divertimento».